Una denuncia che ci interroga Fondi per i progetti antiviolenza
Cara Francesca, la sua lettera dice molto di più di tanti studi di sociologia e antropologia culturale, con tutto il rispetto per gli autori. Perché lei, raccontando quanto le è accaduto e come si è sentita, ha fotografato in qualche decina di righe l’italia dell’apatia collettiva, l’italia che ha come primo comandamento il «farsi i fatti propri», l’italia di chi si gira dall’altra parte magari spinta dalla paura, o forse da un egoismo senza appello. E soprattutto l’italia delle donne lasciate a sé stesse (e con loro, i più deboli in generale). Un’italia sola. Lei è stata inseguita, molestata, palpeggiata in una via di Roma est; ha chiesto aiuto, ha inseguito l’uomo continuando nel suo appello di avere qualcuno che le desse soccorso. Nessuno si è mosso, solo alla fine dei ragazzi l’hanno aiutata.
Quali passi dobbiamo fare noi — società, Stato, collettività umana — per mettere al riparo le donne? Quando si parla di Pari opportunità, si parla anche di parità nella qualità della vita. E vivere con la percezione di insicurezza, è già di per sé una tassa troppo alta da pagare per una persona. Da qualche anno, la sensazione di «non essere al sicuro» riguarda molti, senza distinzione di sesso. C’è una diffusa paura senza volto. E c’è quella orribile, malata indifferenza che ha fatto sì, nel suo caso come in altri arrivati alle cronache, che il singolo non sia chiamato ad intervenire. Il codice penale, art.593, parla di «omissione di soccorso», sarebbe bello però pensare che si aiuti una donna in difficoltà senza pensare ad eventuali problemi giudiziari. Parlavamo di passi da fare. Il primo e più radicale è quello di evitare che cresca la differenza di trattamento perché la differenza prevede che uno (l’uomo) sia superiore all’altra, e porta come corollario l’idea malsana che le donne possano essere «usate», sfruttate, tenute in scarso conto, pagate meno. L’ultima rivelazione ISTAT evidenzia che il 43,6 per cento delle donne italiane dichiara di aver subito molestie nel corso della sua vita, mentre più di un milione di donne hanno subito ricatti sul luogo di lavoro per essere assunte, per mantenere il posto di lavoro o per ottenere avanzamenti di carriera.
È un lavoro culturale da fare, lento, capillare. E urgente. Il secondo passo è sensibilizzare gli uomini, perché non si può andare avanti con questa cultura della violenza sulle donne. Il bollettino dei femminicidi è straziante e soprattutto d’estate accompagna i titoli dei telegiornali e dei quotidiani.
Terzo passo è supportare le donne oggetto di violenza maschile: a giorni firmeremo convenzioni che assegneranno 20 milioni di euro a favore di 197 progetti che riguardano iniziative previste nel piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne. Molti di questi progetti riguardano il sostegno a centri antiviolenza che offrono protezione e cura alle donne vittime in tutta Italia. La prossima settimana incontrerò le maggiori associazioni che si battono contro la violenza maschile sulle donne per concordare insieme la strategia e gli strumenti più efficaci. L’invito è stato accolto con entusiasmo: lo Stato non può voltarsi dall’altra parte come hanno fatto, cara Francesca, le molte persone alle quali lei ha chiesto aiuto.
Il quarto passo riguarda il singolo, ed è ritrovare la responsabilità individuale
La convenzione
Firmeremo la convenzione che assegna 20 milioni in favore di 197 progetti che affrontano il tema della violenza sulle donne
verso il collettivo. Occorre dirsi: «Mi riguarda». Spesso sono i giovani a salvare qualcuno in difficoltà, e infatti gli unici a rispondere al suo appello sono stati due ragazzini in motorino, di 14 anni. Cosa vuol dire questo? Che paura (umana), indifferenza (pericolosa), apatia (collettiva) stanno contagiando troppi adulti. Bisogna correre presto ai ripari dimostrando con i fatti che ogni azione ha un valore e che le persone fanno la differenza. Ritrovare il piacere di aiutare gli altri e di sentirsi parte di una collettività. «Mi riguarda», per l’appunto. Lei ha dimostrato coraggio non solo durante l’aggressione, ma anche andando alla polizia e scrivendo la sua densa lettera. Lo ha fatto per difendere le altre donne e per ricordare che la cultura dell’indifferenza è un virus pericoloso ed è da debellare.
Il suo molestatore, grazie alla sua determinazione, oggi è agli arresti. Mi piacerebbe però pensare che, chi offende con atti le donne non sia trasparente agli occhi della giustizia e della società, perché la priorità è mettere al riparo altre donne da possibili aggressioni.
Dovrebbe essere un automatismo, indipendentemente dal fatto che il caso arrivi o no sui giornali. In un Paese civile dovrebbe funzionare così.