Caos al vertice di Carigenova Duello tra Malacalza e Fiorentino
Il primo azionista annuncia le dimissioni, pronto il rinnovo del consiglio Il record dell’export italiano a 448 miliardi
MILANO Lo scontro tra Vittorio Malacalza, azionista di riferimento di Carige con il 20,6%, e l’amministratore delegato Paolo Fiorentino, da lui voluto appena un anno fa come capoazienda, terzo ceo in tre anni, esplode tra mercoledì notte e giovedì mattina, anche se covava già da settimane e aveva portato alle dimissioni del presidente Giuseppe Tesauro e dei consiglieri Stefano Lunardi e Francesca Balzani.
Ora è lo stesso Malacalza, vicepresidente della banca e attuale presidente ad interim, ad annunciare le dimissioni ma non ancora a formalizzarle, dichiarando al tempo stesso di volersi impegnare per la banca, nella piena fiducia delle sue potenzialità di consolidamento e rilancio grazie allo sforzo dell’azionariato». Ma è chiaro che ormai la governance è da reimpostare.
Il consiglio resta nel pieno dei poteri, ha sottolineato ieri il consigliere Giuseppe Pericu, ex sindaco di Genova, anche se è ormai scontato che
Mincione e gli altri
Il terzo socio, Mincione, sostiene Fiorentino. Attesa per le scelte di Volpi e della Sga
alla riunione del 3 agosto sarà convocata l’assemblea per metà settembre non per sostituire i dimissionari ma per rinnovare l’intero consiglio, come ha già chiesto il finanziere italo-britannico Raffaele Mincione, terzo socio con il 5,4% e sostenitore di Fiorentino che vuole portare la banca a una fusione come richiesto dalla Vigilanza Bce. Si contrapporranno, con ogni probabilità, la lista di Mincione e quella di Malacalza. E sarà da capire come si schiereranno gli altri soci forti come Gabriele Volpi, che ha il 9%, e la Sga (Tesoro), che ha il 5,4%. Nel frattempo in Borsa Carige ha perso l’1,16%.
L’accelerazione nella crisi di fiducia a Fiorentino da parte di Malacalza avviene martedì al consiglio che ha affrontato le dimissioni polemiche di Tesauro. L’ex presidente della Corte Costituzionale aveva sollevato un tema «morale» Banchiere
Paolo Fiorentino, 62 anni, dal giugno 2017 amministratore delegato di Carige. È il terzo ceo dell’istituto in tre anni, dopo Piero Montani e Guido Bastianini, voluto dal socio di riferimento Malacalza nei confronti di Fiorentino, finito in un’intercettazione nell’inchiesta sullo stadio della Roma As mentre l’imprenditore Luca Parnasi, parlando dell’avvocato Luca Lanzalone (poi arrestato) gli chiedeva: «Tu fagli fare qualcosa anche a Lanzalone, dagli 50...30 mila euro di consulenza... fagli fare una cazzata! Costruiamo questo rapporto tondo! Così quando è il momento..». Richiesta che però — ha precisato più volte la banca — non è mai stata accolta. Lo stesso Fiorentino, sentendosi diffamato da Tesauro, ha incaricato i legali di valutare una querela o un’azione per danni.
In quel board Malacalza ha chiesto di inserire nel comunicato stampa post-consiglio la sua intenzione di lasciare, riservandosi di «darne successiva formalizzazione con dettagliata motivazione»; richiesta non accolta dalla banca, anche su indicazione della Consob. Poi mercoledì sera, alle 20, è arrivata alla banca via mail una pesante lettera di Malacalza, alla quale è seguito Socio
Vittorio Malacalza, 80 anni, è socio di riferimento di Banca Carige con il 20,6%. Ha investito nell’istituto circa 400 milioni, per una quota che vale adesso circa 100 milioni. Può salire fino al 29% un confronto telefonico notturno tra lo stesso Fiorentino e alcuni consiglieri. Quindi, ieri mattina, la pubblicazione della lettera. La decisione di dimettersi, scrive Malacalza, è stata tra l’altro determinata «dal tentativo» di Fiorentino «di delegittimare il mio ruolo di supplenza del presidente», considerata una «“anomalia”». Poi l’attacco diretto a Fiorentino, perché «quest’ultimo, proprio nei giorni immediatamente precedenti all’arresto dell’avvocato Lanzalone, mi riferì di averlo incontrato, decantandomene le qualità professionali».
È da tempo che cova il malcontento del primo socio nei confronti del banchiere: a fine anno, al momento dell’aumento di capitale da 500 milioni, Malacalza si era opposto all’eliminazione del diritto di opzione per i soci e poi aveva criticato gli alti costi della ricapitalizzazione. Poi lo scorso maggio era scoppiata la polemica nel consiglio per il progetto di cedere la quota del 30% circa nell’autostrada dei Fiori a valore di libro, circa 88 milioni, a fronte di una partecipazione che rende 9-10 milioni di dividendi l’anno. La banca è ancora nel pieno della ristrutturazione patrimoniale: deve cedere le sofferenze e la piattaforma di Creditis, nonché alcuni immobili. E deve emettere ancora un bond subordinato da 350 milioni, atteso per maggio ma non accolto bene dal mercato.
La speranza è che nel 2017 la traiettoria record delle esportazioni italiane non sia arrivata all’apice e sia costretta a scendere influenzata dalla guerra commerciale provocata dai dazi di Donald Trump.
Il mercato americano per le nostre merci vale 40 miliardi di euro all’anno. Quasi un decimo dell’aggregato di export complessivo che nel 2017 ha toccato il record di 448 miliardi (+7,4% sul 2016 ) per un avanzo nei confronti del mondo di 47 miliardi. Michele Scannavini, presidente dell’istituto per il commercio estero (Ice) ricorda che gli Usa sono il nostro terzo partner commerciale, dopo Germania e Francia, il primo extra Ue e dunque in caso di cortocircuito «l’impatto per la nostra economia sarebbe severo». Intanto, però, i dati sono positivi. Negli ultimi tre anni, grazie all’azione congiunta tra Ice, il sistema delle camere di Commercio all’estero, le partecipate di Cassa depositi e prestiti a vocazione internazionale come Sace e Simest, il made in Italy ha recuperato quote di mercato a livello mondiale, anche rispetto agli anni ’90 in cui si era cominciata a vedere una dinamica di contrazione per la crescita dei volumi di export dei Paesi emergenti trainati dalla Cina. Proprio il Paese del Dragone, che ora sembra diventato il nuovo alfiere della globalizzazione grazie al progetto della Via della Seta immaginato dal presidente (a vita) Xi Jimping, sta calamitando una quota crescente delle nostre esportazioni (+22% rispetto al 2016), come il Brasile (+19%) e Russia (+19%). I settori tricolori che meglio si distinguono sono la farmaceutica (+16%), la metallurgia (+9,9%) e i prodotti chimici (+9%). Accelera anche l’industria alimentare (+7,5%), mentre il sistemamoda ha registrato un aumento più contenuto (articoli di abbigliamento +4,7%, articoli in pelle +5,9%). Eppure, al netto delle performance positive, ci sono terreni in cui recitiamo ancora una parte al di sotto delle attese. Scannavini parla soprattutto di forti ritardi sul fronte dell’e-commerce e della nuova digitalizzazione.
La maglia delle «reti produttive internazionali sembra essere giunta a maturazione», scrive l’ice nel suo rapporto annuale. Il dato fa il paio con la «chiara tendenza cinese a spostarsi verso le fasi più a monte delle filiere produttive, producendo in proprio una parte dei beni intermedi prima importati». Ciò impatterà sul nostro export nei prossimi anni. Bisognerà farsi trovare preparati.