Pedrosa dice stop, lascia un campione di stile
Lo spagnolo si ritira: «Mi mancano le motivazioni». Rossi: «Perdiamo un grande»
SACHSENRING Il pilota signore se ne va, resta il grande mistero: Dani Pedrosa, che ha annunciato ieri il ritiro a fine stagione, è stato una meravigliosa incompiuta oppure un piccolo grande eroe capace di andare, chissà come, oltre i limiti del suo fisico? La sua risposta ieri nella conferenza d’addio è stata chiara, asciutta com’è sempre stato lui in 18 anni di carriera: «In Motogp mi è mancato soprattutto il fisico per contrastare le cadute». E, in effetti, con oltre 20 fratture sparse per tutto il corpo, Dani Pedrosa è stato uno dei rider più feriti e sfigati della storia. «Anche se — disse un giorno con apprezzabile senso della realtà — i veri eroi sono altri, per esempio chi è malato. Non noi che facciamo quello che amiamo».
È anche vero tuttavia che, prima di trovare nel 2011 i fenomeni Stoner e poi Marquez nello stesso box, la grande occasione il 32enne catalano l’ha comunque avuta con 5 stagioni da riferimento tecnico della Honda. Il grande Mondiale però non è mai arrivato, e così il Robottino passerà alla storia — Rossi dixit — come «il più grande pilota a non avere mai vinto un titolo Motogp».
Nel dubbio, comunque, noi preferiamo privilegiare il lato positivo di Dani. Intanto perché 3 titoli li ha vinti in 125 (1) e in 250 (2): la conferma che, pilota antico in un’epoca sbagliata, con quelle caratteristiche fisiche e tecniche, negli anni 80-90, quando salire in top class non era l’ossessione di oggi, avrebbe accumulato titoli alla Nieto. E poi perché è 8º all-time per vittorie in Motogp (31), 7º per vittorie complessive (54) e finora è l’unico che ha vinto almeno una gara a stagione in top class dall’esordio (2006) a oggi.
Ma, oltre i numeri, Pedrosa è stato anche un maestro di tecnica e di stile: «Da lui abbiamo imparato tantissimo», hanno detto in coro Rossi, Marquez, Dovizioso & co. ieri ricordando come lo hanno pedinato per studiarne le traiettorie precise, pulite, esatte. E poi è sempre stato una persona anziché un personaggio.
Apparentemente scontroso e antipatico, nascondeva timidezza, riservatezza e sensibilità. Si sono viste anche ieri quando, trattenendo a fatica le lacrime, ha detto che aveva sì delle proposte (la Yamaha clienti) ma non aveva più le motivazioni, ha parlato di «decisione molto difficile, perché le corse sono la mia vita» e ha raccontato, con l’intatta meraviglia della piccola pulce che saliva sul triciclo a tre anni, di «essere stato fortunato: ho ottenuto molto più di quanto avrei mai immaginato quando bambino sognavo di diventare pilota». Di fronte a un dono simile, che differenza farà mai un Mondiale in più o in meno?