Il vertice delle ombre (e degli affari) Trump e Putin pronti al faccia a faccia
Domani a Helsinki i due leader s’incontrano dopo mesi di sospetti. Il peso degli apparati
LONDRA Potrebbe essere un vertice storico o uno storico fallimento. L’unico dato certo, per ora, è che domani a Helsinki non si confronteranno solo Donald Trump e Vladimir Putin, ma anche mesi di accuse reciproche, di sospetti, di ombre, di business personali. Difficile trovare il precedente di un summit così importante e, nello stesso tempo, così opaco.
Il presidente americano si presenta all’appuntamento lasciandosi alle spalle i campi da golf del suo club a Turnberry in Scozia, dove la premier Nicola Sturgeon lo ha evitato, preferendogli il Gay pride di Glasgow.
Il leader russo, invece, ha fatto sapere di aver lavorato molto «sull’agenda», incontrando diversi governanti del Medio Oriente: probabilmente l’idea è partire da dossier come l’anti terrorismo e la Siria su cui un dialogo tra le parti è stato comunque abbozzato dal ministro degli Esteri Sergei Lavrov e dal Segretario di Stato, Mike Pompeo.
A Washington l’intero apparato dei servizi segreti, il Pentagono e il Congresso, senza distinzione tra democratici e repubblicani, sono convinti che Putin e la Russia rappresentino la «minaccia numero uno» per la sicurezza dell’occidente. Ma l’unanimità è spezzata dalla figura più importante: il presidente degli Stati Uniti. Sarà lui a sedersi faccia a faccia di fronte «a Vladimir», che ha definito «un competitor», non «un nemico». Anche ieri Trump si è speso per arginare l’impatto dell’ultima mossa clamorosa del Super Procuratore Robert Mueller che indaga sul Russiagate: l’incriminazione di 12 agenti del Gru, il servizio segreto militare del Cremlino, accusati, tra l’altro, di «cospirazione contro la sicurezza degli Stati Uniti» per aver interferito nella campagna elettorale del 2016.
«Questa storia si è sviluppata durante gli anni di Obama. Perché Obama non ha fatto nulla? Perché pensava che la corrotta Hillary avrebbe vinto le elezioni. Ecco perché», ha twittato il presidente, con la stessa logica usata qualche giorno fa per «spiegare» l’annessione russa della Crimea nel 2014: «Obama lo ha consentito, io non lo avrei mai permesso». Manca la controprova, naturalmente. Così come mancano ancora i riscontri all’ipotesi di «collusione» tra il clan del presidente e i russi. In passato Trump ha intrecciato rapporti di affari con oligarchi e businessmen chiaramente legati al Cremlino. Ieri il Financial Times ha ricostruito la vicenda della Trump Tower di Toronto. Ma i legami sono molteplici. C’è per esempio, quello con Aras Agalarov, diventato miliardario grazie alla costruzione di grandi infrastrutture commissionate da Putin.
Secondo le indiscrezioni Mueller starebbe indagando anche sullo scambio di mail tra gli uffici di Mosca della Trump Organization e il team del candidato repubblicano a Manhattan: possiamo concludere molti affari qui in Russia. Era la primavera del 2016.
E così la crisi siriana, l’iran, l’ucraina, i trattati sul controllo degli armamenti, a medio e lungo raggio, si mescolano con il groviglio degli interessi personali di Trump e di Putin. Vedremo che cosa ne risulterà.