Corriere della Sera

IL VALORE (INVISIBILE) DEI COLORI

Facile dire che il rosso è passionale o che il verde è rinascita: contano le sfumature. Anche quelle nascoste in un film o in una lattina di gassosa. In un mondo dominato da simboli e immagini, le tinte hanno un grande potere. E ci influenzan­o DANNO GIOIA

- di Roberta Scorranese Rscorranes­e@corriere.it

«Nero come il vino», cantava Omero nel descrivere il colore del mare. Non perché quel mare fosse più scuro di quello che vediamo oggi, ma perché l’uso delle parole abbinate ai colori era diverso: il blu non era (ancora) visto come un colore a sé stante, bensì come una variazione di altre tinte — per esempio il cyanos era la nuance della sofferenza. Però, con quella celebre espression­e, studiata da migliaia di storici, Omero ha colto due nodi importanti per capire il mondo in cui attualment­e noi viviamo: la metafora e il potere che i colori hanno sulla nostra sfera emotiva.

Ragioniamo per colori

Se la metafora è la cifra linguistic­a del nostro tempo (inventiamo neologismi, stravolgia­mo i vocaboli), il colore ispira la forte vena simbolica nella quale siamo immersi. Pensiamo a un caso recente: il rosso delle magliette dei piccoli migranti annegati nel Mediterran­eo, vestiti così dalle madri perché — in caso di naufragio — risultasse­ro più visibili.

Il rosso è diventato il simbolo di una riscossa che difende le Ong dagli attacchi delle politiche sovraniste. Ma il rosso è anche il simbolo della lotta alla violenza sulle donne, del fiocchetto nella battaglia contro l’aids e di altre cose. Insomma, se artisti come Warhol o Haring avevano capito che avremmo sostituito le croci con altri simboli (pensiamo alla chioccioli­na della email), i grandi dell’astrattism­o avevano intuito che presto avremmo ragionato per colo- ri — Rothko, per dire, raffigurav­a paesaggi con due o tre grandi campiture di rosso, nero o giallo.

Quindi non stupisce se i colori influenzan­o le nostre emozioni, felicità compresa, e se a volte sono le nostre stesse espression­i a produrre delle vere e proprie sfumature colorate, che vengono percepite da chi ci sta di fronte e associate a un preciso moto dell’animo. Lo ha rilevato una ricerca, pubblicata su Pnas, dell’ohio State University: le emozioni determinan­o una variazione nel flusso sanguigno intorno al naso, sopraccigl­ia, guance o mento, facendoci... cambiare colore. Tempie e guance rosse sono indice di felicità, il disgusto crea un’area blu-gialla intorno alle labbra e una rosso-verde intorno a naso e fronte.

Un mondo senza tinte?

Il francese Jean-gabriel Causse, designer ed esperto di colori, sottolinea: «Le sfumature hanno un grande potere su di noi. Per esempio, il rosa infonde una carica positiva al punto che sono stati fatti degli esperiment­i nelle prigioni o nei depositi delle vetture rimosse inserendo elementi di questa tinta, proprio per abbassare il tasso di violenza». Causse, che sarà tra gli ospiti del Tempo delle Donne dedicato alla felicità, a settembre, ha scritto un romanzo tradotto in Italia da Harpercoll­ins dal titolo La felicità ha il colore dei sogni, in cui immagina un mondo dal quale, all’improvviso, spariscono i colori. Impossibil­e? Non proprio.

Ogni anno i rapporti che ci illustrano il colore preferito dagli automobili­sti per la propria vettura insistono sui «colori neutri», dal grigio metallizza­to all’avorio spento. E da quanto tempo non entriamo in una casa dalle pareti sgargianti? Riccardo Falcinelli, autore di Cromorama (Einaudi) commenta: «Una fitta coltre di conformism­o avvolge le nostre scelte nell’arredo della casa, nell’acquisto di suppellett­ili, persino nel vestire. Una volta la vera eleganza era colorata, basti pensare alle decorazion­i variopinte nei palazzi nobiliari tra Ottocento e i primi del Novecento».

Oggi il colore «deciso» è quasi temuto, tanto è vero che sopravvive nei territori anticonfor­misti dell’alta moda o nell’abbigliame­nto eccentrico di certe famiglie reali (oppure di

Il rosa infonde una carica positiva tanto che sono stati fatti degli esperiment­i nelle prigioni proprio per abbassare il tasso di violenza Jean-gabriel Causse (color designer)

certi personaggi della società-bene).

Eppure che il colore sia emozione ce lo dice un semplice esperiment­o: la maggior parte dei sopravviss­uti ai sismi di forte intensità, raccontano che dopo un terremoto che distrugge una città la cosa che maggiormen­te colpisce è l’assenza dei colori.

Non a caso le pareti degli ospedali e delle strutture di degenza non sono bianche (elemento di freddezza) ma spesso sono vicine al pastello. Perché non è tanto il rosso o il giallo a incidere sul nostro umore, come sottolinea Osvaldo Da Pos, docente di psicologia della percezione all’università di Padova, quanto le loro gradazioni. Un rosso intenso ci ecciterà esattament­e quanto un giallo acceso. Se però prendiamo una sfumatura di giallo tenue, otterremo un effetto riposante. «Ma noi ragioniamo per effetti plurisenso­riali», dice Falcinelli. Vediamo con l’olfatto e assaggiamo con la vista. Un esempio: la maionese in alcuni Paesi è gialla e in altri è bianca. Dipende dalle abitudini dei consumator­i. A noi rende felici un uovo color ecru perché lo associamo a qualcosa di naturale, mentre in altri Paesi quello totalmente bianco è considerat­o migliore.

È come se pensassimo per colore,

abituati come siamo a guardare immagini, più che a leggere parole stampate, ormai. Nel suo libro Falcinelli racconta un altro aneddoto interessan­te, che parte dalla matita. Per noi la matita è gialla perché questo fu il colore che avvolse la grafite nel lancio della Koh-i-noor all’esposizion­e di Chicago 1893. Ora, alcuni psicologi hanno dimostrato che, messi di fronte a una matita gialla e a una verde, i consumator­i sono convinti che quelle verdi si spuntino prima perché di qualità inferiore.

Il giallo assume qualcosa di platonico, un che di preesisten­te alle nostre esperienze. Specie quelle di chi guarda la television­e: per una certa generazion­e l’unica forma di giallo possibile sarà quella dei Simpson, anche quando capitiamo di fronte ai Girasoli di Van Gogh.

Il colore «gattamorta»

E chi conosce i segreti del colore oggi può vantare un singolare potere. In un altro volume, edito da Ponte alle Grazie e tradotto in italiano con Lo stupefacen­te potere dei colori Jeangabrie­l Causse annota: «Abbiamo una consapevol­ezza molto parziale degli effetti del colore. Ed è proprio questo che ne fa una temibile arma di seduzione». In generale, dire che il rosso infonde passione e il verde invita alla rinascita non è corretto. Gli specialist­i sottolinea­no che molto dipende dalle nostre percezioni personali (ovvio) ma anche dalle gradazioni. Ci sono i colori caldi (dal rosso al giallo) e quelli freddi (dal verde al blu), oltre alle tante sfumature per ogni gruppo. In genere i caldi sono accoglient­i, vibranti, energetici. I freddi parlano di distacco, sfida, competizio­ne.

E un caso a parte è quello del blu, oggi uno dei colori più popolari al mondo: pochi però sono altrettant­o ambivalent­i, come ci spiega Michel Pastoureau nel libro Blu. Storia di un colore (Ponte alle Grazie). Se nell’antichità era snobbato da Greci e Romani che lo associavan­o ai barbari, dopo il Medioevo, con le rappresent­azioni mariane, le cose cominciaro­no a cambiare e oggi il blu, dice lo storico francese, «è benvoluto da tutti, tanto dalle persone fisiche quanto dalle persone morali; le organizzaz­ioni internazio­nali, l’onu, l’unesco, il Consiglio d’europa, tutti hanno optato per un simbolo blu. Lo si sceglie per eliminazio­ne, dopo aver scartato gli altri. È un colore gattamorta, che non disturba e riscuote l’approvazio­ne di tutti». Il blu oltremare era ricavato in origine dai lapislazzu­li di origine orientale e da questa parola deriva il nostro «azzurro». Che è il manto delle Madonne più belle dell’arte occidental­e ma è anche il colore del barattolo d’arsenico che Emma Bovary acquista per uccidersi. Può infondere sia fiducia che sfida. Il consiglio di Causse è quello di fotografar­e un oggetto su fondo blu se si vuole rivenderlo su ebay. Sarà un caso che Matteo Salvini abbia deciso di abbandonar­e il verde troppo «nordista» e abbia adottato il blu per la sua nuova Lega?

E siamo sicuri che se fosse stato rosso o verde invece che nero il tubino di Audrey Hepburn sarebbe diventato lo stesso il simbolo dell’eleganza del Novecento? No, era nero perché il nero ha un che di assoluto, fatale, definitivo. Come Holly Golightly. E come sublimare la purezza di Gwyneth Paltrow-margot Tenenbaum se non con due guantini rosa? Badate: non bianchi, ma rosa. È tutto molto più complesso rispetto alla banalità del linguaggio dei fiori da supermarke­t: il rosso-passione, il bianco-purezza e via con la noia. Ci sono, al contrario, miriadi di sfumature di senso che ci coinvolgon­o ogni giorno, quando compriamo quella famosissim­a bag gialla o quando ci chiediamo come mai una celebre gassosa dalla lattina verde abbia deciso di aggiungere alla confezione un tocco di giallo. Per dare l’idea del limone. Che potrebbe anche non esserci: lo vediamo, quindi lo sentiamo lo stesso.

Questo «peso» del colore nelle nostre vite non è casuale. Molti colori sono stati preziosi, nel senso del valore delle pietre da cui si ricavavano. Anche perché un tempo preparare i colori era faticoso: bisognava triturare, mescolare, impastare. Il colore era puzza, veleno, sporcizia e solo alla fine, sulla tela, esplodeva. Nel suo bel libro Colore. una biografia (Rizzoli) Philip Ball racconta la nascita dei tubetti, quelli che poi hanno accompagna­to una delle rivoluzion­i artistiche più importanti dell’ottocento, cioè l’impression­ismo.

Fu intorno al 1840 che un ritrattist­a americano, John Rand, provò a realizzare uno degli antesignan­i dei moderni tubetti dei colori, all’epoca usualmente riposti in barattoli o vesciche animali, quindi facilmente deperibili. Grazie a questa invenzione del colore «portatile», molti pittori dipinsero en plein air, dando vita a paesaggi campestri o a colazioni sull’erba. Tutto benissimo, eppure...

Eppure finiva un’epoca. Quella dello studio dell’artista imbrattato di pigmenti, fetente di colle chimiche. Iniziava un altro tempo, pulito, deodorato, sterilizza­to. Forse quello che, lentamente, ci ha condotti a questo moderno fastidio per la coesistenz­a di colori accesi di cui parla Falcinelli. Il monocromo come cifra di un mondo poco coraggioso, allergico alle contaminaz­ioni e rinsaccato nelle proprie paure personali?

L’ambivalenz­a

Ciascuno di noi percepisce un colore in modo diverso. Ma ci sono gradazioni molto ambigue, per esempio il blu

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