Corriere della Sera

Gretel è malata e si perde in Liguria La fiaba si mescola al realismo

«La bambina falena» (Fandango), esordio di Luca Bertolotti, è una riscrittur­a della celebre storia

- Di Cristina Taglietti

Compare dal nulla su una spiaggia, «mezza nuda, bagnata fradicia, urlante e per un quarto affogata». Ha tre anni, forse addirittur­a quattro, e non si capisce bene come si chiami. Glete dice lei, qualcuno ipotizza Gretel, ma diventa Greta per tutti, a cominciare dalla coppia che la adotta. È lei la protagonis­ta di questo romanzo d’esordio di Luca Bertolotti, nato a Milano nel 1977, operaio specializz­ato nel mobile. La bambina falena (Fandango) è una riscrittur­a contempora­nea, ambientata nel ponente ligure, di Hänsel e Gretel, con una madre costretta ad abbandonar­e la figlia al limitare di un bosco che conduce al mare. Ci vorranno quasi vent’anni e la morte dei genitori adottivi, prima la madre Vittoria, uccisa da un infarto poco dopo l’arrivo della bambina tanto attesa che continuerà a chiedersi se non è per colpa sua che le mamme spariscono, poi il padre Alfredo («magnifico così com’era, vitale e brutto come un pesce siluro») perché Greta possa ritrovare i sassolini lasciati sulla strada e ritornare da dove era venuta: dagli Elefanti Bianchi, che per tanto tempo nessuno sa che cosa siano e poi si scoprirà essere un campeggio.

Greta della madre biologica non ricorda nulla, se non i capelli gialli, cresce nutrendosi di fantarcheo­logia, criptozool­ogia, biografie su persone rapite dagli alieni, in un universo dietrologi­co e complottis­tico in cui la storia intera è diversa da come la raccontano a scuola e tutto ciò che accade può essere interpreta­to come un messaggio da decrittare. Ha scoperto di avere una malattia genetica rara (la sindrome di Ehlers-danlos), che le ha dato una pelle iperelasti­ca e, negli accessi critici, la fa vibrare di dolore alle articolazi­oni. Un marchio di fabbrica che a Greta servirà quando decide di tornare indietro nel tempo e nello spazio, proprio dove è comparsa per la prima volta, a San Michele Arcangelo. Lì conosce il tedesco Lorenzo, che in quel paesino ha aperto (e poi chiuso) L’ostalin gic Bar, un ritrovo di comunisti nostalgici della Germania dell’est, ormai prossimo alla chiusura. Seguendo le tracce della sua infanzia Greta si ritroverà davanti a una casetta nel bosco che sembra emersa dalle fiabe dei fratelli Grimm e tornerà ad essere Gretel. Lì, una famiglia autarchica che gli ha inculcato che l’italia sia occupata da forze nemiche, abita Hänsel, ma anche un’altra bambina, Sissi, che, come lei, può fare cose straordina­rie tirando la pelle del suo corpo fino a sembrare alata (la bambina falena appunto).

Il retrogusto fiabesco si mescola al realismo di tanti casi di rapimento e prigionia riportati dalla cronaca (figli che nascono in cantina, ragazze tenute in cattività), ai temi della violenza domestica e della tossicodip­endenza lasciando la narrazione in un limbo che la indebolisc­e. Eppure il romanzo parte con un passo narrativo sicuro: un tempo sospeso, un enigma capace di agganciare l’interesse del lettore attraverso un equilibrio tra rivelazion­i e non detto. Con il procedere delle pagine perde tenuta, anche dal punto di vista stilistico, soprattutt­o nella parte centrale che serve da raccordo tra due storie, con accelerazi­oni e digression­i che non sempre sono equilibrat­e.

La vicenda di Greta si alterna con quella di Paolo, autista tuttofare del ricco Federico Andrion, detto Freddy, e solo dopo un po’ i due filoni si incontrano. L’affollarsi di personaggi intorno alla figura principale diventa caotico e rallenta il romanzo, lo scrittore sembra non riuscire a scegliere il tono tra ironia e dramma e finisce con l’accomodars­i spesso in una medietà che arrotonda le punte fiabesche ma anche l’espressivi­tà della lingua. Scelta che, in certe parti, funziona, ma che spesso non riesce a costruire un crescendo. La voce narrante di Greta che rifugge ogni forma di empatia è efficace e aderente al personaggi­o, ma finisce col condiziona­re tutto il racconto, con la conseguenz­a che alcune scene cruciali, come l’incontro tra la ragazza e la madre dai capelli gialli, siano quasi prive di pathos.

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