Psicoterapia e farmaci in prima linea
Negli ultimi anni sono state proposte diverse forme di terapia del Disturbo post-traumatico da stress, immediatamente dopo l’evento, con finalità preventive.
Per un certo periodo di tempo ha goduto di credibilità il cosiddetto debriefing psicologico, una forma di trattamento psicoterapico da svolgere in un’unica sessione, durante la quale il soggetto ripercorre e discute la sua esperienza traumatica con un terapeuta.
In teoria questa procedura dovrebbe annullare o ridurre il potenziale traumatismo psicologico, ma quando la tecnica è stata sottoposta a verifica sperimentale non ha dato prove di efficacia.
«Studi, revisioni e metanalisi mostrano che il debriefing non previene il disturbo posttraumatico da stress e può invece avere conseguenze dannose, quindi questa tecnica non è da raccomandare— indica Arieh Shalev nella sua revisione sul New England Journal of Medicine sul disturbo—. Invece ci sono prove che dimostrano l’utilità del prendersi cura in maniera supportiva del soggetto, focalizzandosi sui suoi problemi e identificando coloro che devono essere indirizzati a una terapia cognitivo-comportamentale. Al momento questa forma di trattamento rappresenta il pilastro degli interventi psicologici preventivi».
Anche perché i farmaci per il momento non si sono mostrati molto utili per la prevenzione, sebbene ne siano stati sperimentati diversi: propranololo, gabapentin, temazepam e vari inibitori della ricaptazione della serotonina, come l’escitalopram.
Sono allo studio anche trattamenti sperimentali quali idrocortisone o ossitocina intranasale, che hanno dimostrato per ora un’efficacia preliminare.
Per quanto riguarda invece la cura vera e propria del disturbo già conclamato, gli psichiatri possono contare su interventi sia psicologici sia farmacologici.
Spiega Claudio Mencacci, direttore del Dipartimento di neuroscienze e salute mentale AAST Fatebenefratelli-sacco di Milano: «Fra le psicoterapie, la terapia cognitivocomportamentale focalizzata sul trauma ha le maggiori evidenze di efficacia. Le tecniche comportamentali si basano sulla riesposizione a elementi legati al trauma in un setting sicuro e controllato, fino a raggiungere la desensibilizzazione dall’evento traumatico. Quelle cognitive correggono le convinzioni disfunzionali, come sentirsi impotenti o colpevoli. Anche l’emdr, Eye Movement Desensitization and Reprocessing, la rievocazione dell’evento traumatico associata all’induzione di movimenti oculari, ha dimostrato buona efficacia, così come la psicoterapia interpersonale o la mindfulness».
Ma circa il 75 per cento delle Limiti
L’approccio farmacologico non si è mostrato molto utile per la prevenzione. Diverse le molecole testate: propranololo, gabapentin, temazepam e vari inibitori della ricaptazione della serotonina (escitalopram). Allo studio anche trattamenti sperimentali quali idrocortisone o ossitocina intranasale, che hanno dimostrato un’efficacia preliminare persone che soffrono di questo disturbo assume anche una terapia farmacologica, soprattutto antidepressiva. «Paroxetina e sertralina sono approvati dall’fda americana per il trattamento del disturbo post-traumatico da stress, ma anche venlafaxina e trazodone sono utili — dice ancora Mencacci —. Fra i trattamenti innovativi, cicloserina e stimolazione magnetica transcranica hanno fornito alcune prove di efficacia, mentre gli eventuali effetti terapeutici di cannabinoidi o ketamina devono ancora essere approfonditi».
Dato che spesso chi soffre di questo disturbo riceve trattamenti diversi che non sempre riescono a vincere tutti i sintomi, secondo Arieh Shalev e i suoi collaboratori l’obiettivo di qualunque terapia dovrebbe puntare almeno a contenere il comportamento autodistruttivo e il senso di solitudine associati a molti di questi casi. alle domande dei lettori su argomenti di psichiatria e psicologia all’indirizzo
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