Volevano imbarcarsi, sei bimbi asfissiati
Otto i migranti morti in Libia: erano nella cella frigorifera del tir diretto al porto per le coste europee
ROMA Sono morti a pochi chilometri dall’inizio dell’ultima parte del viaggio verso l’europa. Otto migranti — fra cui sei bambini e una donna — hanno perso la vita dentro la cella frigorifera di un camion, dove erano ammassati assieme a un centinaio di altre persone in condizioni disumane, in attesa di poter salpare per il Mediterraneo a bordo di un gommone o di qualche altro natante di fortuna. Secondo quanto riferito dal sito di informazione Lybianexpress, sarebbero stati uccisi dalle esalazioni fuoriuscite da sei taniche di benzina.
I corpi sono stati trovati dalla polizia libica nel corso di un controllo nell’ambito delle attività contro i trafficanti di vite umane nella zona di Zuara, a 110 chilometri da Tripoli. Molti dei superstiti sono stati ricoverati in ospedale in stato di intossicazione. Ancora non è chiara la nazionalità delle vittime, ma i migranti a bordo del camion provenivano perlopiù dai paesi subsahariani anche se c’erano pure alcuni pachistani e bengalesi.
Secondo alcune fonti citate sui social network (ma non confermate dalle autorità), il camion era partito da Sebha, città nel sud della Libia che è una sorta di punto di raccolta per i migranti provenienti da Niger, Senegal e Ciad, che qui arrivano con autobus di linea o mezzi di fortuna. Proprio in questa zona sono stati accertati casi di migranti rivenduti come schiavi dai clan che controllano il territorio.
Da Sebha il camion sarebbe partito per Zuara, uno dei crocevia del traffico dei migranti. Secondo quanto svelato dagli operatori delle Ong, la rotta che attraversa il Mediterraneo è utilizzata talvolta anche in direzione opposta per portare armi dall’italia e dai Paesi balcanici in Africa. Nelle ultime settimane nella zona di Zuara sono stati scoperti almeno una decina di covi dove erano nascoste — in attesa dell’imbarco — diverse centinaia di migranti, portati nei centri di accoglienza gestiti dalle autorità libiche e al centro di polemiche per le terribili condizioni di detenzione denunciate anche da Medici Senza Frontiere.