Il luglio dei contratti firmati La scelta di «anticipare» il governo
Il lavoro è tornato al centro della lotta politica e il passaggio parlamentare del decreto Dignità promette scintille. Può infatti mettere alla prova la solidità dell’alleanza tra Movimento 5 Stelle e Lega perché molti deputati salviniani del Nord la pensano come la Confindustria e al momento giusto potrebbero segnalarlo. Intanto fuori dalla politica e lontano dalle reprimende del neoministro Luigi Di Maio assistiamo a un crescendo di accordi sindacali sia a livello centrale sia nei territori/fabbriche. Con la sorpresa degli stessi addetti ai lavori in poco più di una settimana è stato firmato il contratto nazionale chimico farmaceutico che sarebbe scaduto a fine anno, è stato rinnovato -—seppur con ampio ritardo — il contratto nazionale degli edili (un milione di lavoratori) e, infine, si è chiuso il contratto del commercio delle aziende aderenti alla Confesercenti. Ma non è tutto. Sempre negli stessi giorni è stato firmato il contratto integrativo della Ferrero di Alba, quello della Lamborghini-audi e la prima intesa sindacale dei lavoratori degli hotel Marriott. È chiaro che si tratta di intese stipulate a livelli e contesti differenti: non riguardano materie omogenee e al loro interno contengono sia scelte «fotocopia» di passati accordi sia formule innovative, ma messi tutti assieme fanno massa critica e segnalano nel caldo luglio del 2018 una vitalità delle forze della rappresentanza sociale che quantomeno va indagata.
È una sfida al populismo e alle «punizioni» per le imprese promesse da Di Maio? È una dimostrazione di maturità della società civile che sceglie di autogovernarsi? Segnala un livello di complicità maggiore che in passato tra imprenditori e sindacati? Roberto Benaglia del dipartimento contrattazione della Cisl ha davanti i risultati di uno studio sugli accordi aziendali e su questa base sostiene che «le relazioni industriali in fabbrica sono più avanti dei convegni». Si negoziano ottimi premi di risultato, la flessibilità sugli orari è regolata, il welfare aziendale è previsto una volta su tre. «E tutto ciò dimostra che c’è un ingaggio reciproco tra aziende e sindacati per trovare soluzioni e dare risposte». Benaglia non si nasconde come questo movimento non sia omogeneo (Pmi e Sud ne restano ampiamente fuori) ma gli accordi di quest’ultima dozzina di giorni dimostrano che i problemi del lavoro si affrontano meglio con la contrattazione che «con una nuova iniezione di diritto del lavoro» come quella imposta dal governo in carica.
Vincenzo Colla, segretario confederale della Cgil, non crede che siamo davanti ad accordi a orologeria ovvero legati a una sorta di opposizione comune al governo Conte. «Le buone relazioni pagano a prescindere dalla politica del momento e in più il patto della fabbrica chiuso con Confindustria comincia a dare i suoi frutti». La capacità delle parti sociali di negoziare soluzioni utili segnala comunque a suo avviso «la necessità di avere le competenze giuste»: quando, come nel decreto Dignità, «non si coinvolgono i veri protagonisti si creano inevitabilmente dei pasticci». Di diverso parere è l’ex ministro del Lavoro Maurizio Sacconi. «Distinguerei tra i contratti nazionali e le intese di fabbrica. Nel primo caso sono accordi che riproducono l’esistente e non c’è lo sforzo di costruire un mondo nuovo». In fabbrica e sul territorio invece le novità non mancano, come nel caso del distretto della logistica di Piacenza dove si è raggiunto un accordo esteso alla formazione del capitale umano. Siamo comunque di fronte a una manifestazione di vitalità delle parti sociali? «Lo definirei un arrocco. Le organizzazioni centrali stringono le maglie, cercano di consolidarsi. Temono che il populismo li scavalchi e si chiudono a difesa dei loro spazi».
I rinnovi
Siglati in pochi giorni diversi contratti tra cui quelli di edili e farmaceutici e di aziende come Ferrero e Lamborghini