Corriere della Sera

Sì (trasversal­e) al decreto

- di Nando Pagnoncell­i

Consenso trasversal­e (e largo) al decreto Dignità, che arriva anche dal Pd e da Forza Italia. E il Jobs act è da cambiare per tre su quattro.

primo posto tra le priorità degli italiani fin da quando — prima con il «pacchetto Treu» (1997) e poi con la legge Biagi (2003) — furono introdotte nuove tipologie di contratto (a progetto, in somministr­azione, intermitte­nte, ripartito, ecc.), facendo emergere lo spettro della precarietà e della difficoltà per i giovani di avviare percorsi di vita autonoma. È quindi comprensib­ile che il decreto susciti aspettativ­e elevate, dato che la disoccupaz­ione giovanile, nonostante la significat­iva riduzione registrata nelle più recenti rilevazion­i (è ai livelli più bassi dal 2012), in Italia si colloca su valori quasi doppi rispetto alla media europea. Le aspettativ­e elevate rappresent­ano una grande opportunit­à di consenso per i governi nella fase di avvio del mandato, ma possono rivelarsi assai perniciose perché, indipenden­temente dalla realtà oggettiva, i risultati rischiano di essere inferiori alle attese.

Le critiche sollevate al decreto da sigle delle imprese e del sindacato hanno acuito la contrappos­izione tra élite e popolo, rafforzand­o l’immagine di un governo che sta dalla parte dei cittadini. In questo contesto si inserisce il duro scontro tra il governo e il presidente dell’inps Tito Boeri che nella relazione tecnica sul decreto ha evidenziat­o come le nuove norme potrebbero causare una diminuzion­e di circa 8.000 posti di lavoro all’anno. Il governo ha definito la relazione «priva di basi scientific­he e discutibil­e». Accuse che hanno fatto breccia, dato che il 48% degli italiani ritiene che i numeri dell’inps siano contestabi­li, forse influenzat­i da opinioni politiche, mentre il 26% è convinto che l’inps si sia limitata a fornire stime realistich­e. La maggioranz­a dei cittadini, senza strumenti per giudicare i numeri, di fronte a stime contrastan­ti prende posizione in base alle proprie percezioni e all’appartenen­za politica. Il clima da stadio che accomuna una parte non trascurabi­le di governanti e governati induce pericolosi processi di delegittim­azione di istituzion­i e «terze parti». Meccanismo rischioso che può travolgere chi lo mette in atto quando il vento dell’opinione pubblica cambia.

Npagnoncel­li

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