Corriere della Sera

Gabetti: le cene a parlare dei conti e di Torino

«La sorpresa di vederlo a Stanford»

- di Andrea Rinaldi

TORINO «Diciamolo: per alcuni il suo arrivo in Fiat fu traumatico. Erano disturbati da quei grande innovatore che arrivava da chissà dove… ». Gianluigi Gabetti, 94 anni, è stato uno dei grandi sponsor di Sergio Marchionne al Lingotto. E ora parla del suo avvicendam­ento con voce a tratti rotta, commossa. I primi incontri fra i due risalgono però agli anni in cui Marchionne era ancora alla guida di Sgs, la società di certificaz­ione svizzera degli Agnelli. È a Ginevra che i due manager dapprima si annusano e poi, complici numerose cene al ristorante, si tolgono la giacca (che allora Marchionne ancora portava).

Come fu l’esordio torinese di Marchionne?

«Sin dal suo arrivo in città si cenava assieme con mia moglie e si parlava di tutto. Io raccontavo la Torino del passato e sia Sergio che Bettina mi tempestava­no di domande. Erano degli innati scopritori. Gli raccontavo quello che avevo visto e conosciuto e che oggi purtroppo non interessa più a nessuno».

E l’arrivo in azienda, invece?

«Marchionne si è infilato in quella realtà con grande chiarezza di vedute e semplicità di modi. Per alcuni il suo arrivo in Fiat fu traumatico, perché sembravano essere disturbati da questo innovatore. Ma nell’insieme seppe farsi conoscere e, anche se questo potrebbe stupire chi non lo conosce bene, direi voler bene».

Com’era il Marchionne manager quando l’ha conosciuto?

«Lui e la Fiat e Torino erano realtà molto diverse. Io che arrivavo dall’ambiente finanziari­o avevo portato in un primo tempo un “vento americano” e lui fece altrettant­o. Col tempo però lo scambio divenne più intenso e proficuo per tutti. Marchionne è un uomo capace di sentimenti profondi che non emergono subito».

E, si dice, un lavoratore infaticabi­le.

«Sì, però era dotato di una spontaneit­à tale che il giorno del mio compleanno, il primo dopo il suo arrivo in Fiat, venne all’aeroporto di Stanford per farmi gli auguri. Aveva saputo della ricorrenza per una simpatica collaboraz­ione che c’era tra lui e mio figlio. Ricordo che dopo quella colazione, ci siamo detti: “Ma quanto tempo abbiamo davanti per parlare d’altro”. Lasciammo la sala da pranzo per andare sotto una veranda e parlammo di tutto».

E quando dice tutto, cosa intende?

«Che a un certo punto mi disse: “Allora abbiamo tempo di parlare anche di questo”. E tirò fuori un pacco di carte. Erano i conti della Fiat, non li avevo mai visti. Mi presentò l’azienda meglio di quanto la conoscessi io stesso. Aveva una capacità di lettura e intuizione incredibil­e, anche di documenti finanziari complessi, che diventaron­o un ponte per il nostro modo di comunicare. Da quel giorno infatti era diventata una consuetudi­ne parlargli in modo sintetico di quello che mi aveva illustrato. Sia sul lavoro che d’estate, quando veniva a trovarmi. Ha costruito un patrimonio di ricordi che non si possono accantonar­e».

Un linguaggio comune fatto però non solo di conti.

«Un rapporto costruito confrontan­doci con le mie idee di vecchio Piemonte e quelle, condivise, sull’america. Sono stati i colloqui e il linguaggio italoameri­cano,

d Un uomo capace di sentimenti profondi che non emergono subito. Ha dato all’azienda una nuova vita

La reazione

«Per alcuni il suo arrivo in Fiat fu traumatico, sembravano disturbati da questo innovatore»

innestato su questa realtà piemontese, ad accompagna­rci in questi anni. Quindi…». Quindi…

«Nulla, nulla, sono commosso e medito su quello che gli è successo. La verità è che alla Fiat c’erano già un clima di lavoro e una mentalità eccezional­i. Ma lui ha dato all’azienda una nuova vita».

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● Gianluigi Gabetti, classe 1924, è stato per lungo tempo manager di fiducia della famiglia Agnelli

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