Chi «resiste» e chi rimedia, tutte le scelte dei morosi pd
C’è chi ha fatto la corsa a pagare i debiti col Pd per riavere un posto in lista (1.500 euro al mese, scalati dalla paga da parlamentare). C’è chi quel posto era sicuro di non riaverlo (oppure aveva lasciato il partito per passare a Leu) e non aveva saldato un bel niente. E c’è chi spera di non dover mettere mano al portafogli, perché la notifica del tribunale non è ancora arrivata. Enrico Rossi, governatore della Toscana, tra gli scissionisti a sinistra, non fa parte di nessuna di queste tre categorie, e lancia un siluro al «compagno» Pietro Grasso, a cui il giudice ha ordinato di versare 83 mila euro di contributi non pagati al Pd. Rossi, il 15 marzo 2017, aveva dichiarato: «Con il Pd è finita. Punto». A ruota si licenziò anche dal partito, di cui era pure dipendente e pagò circa 10 mila euro di pendenze al Pd toscano. «L’ho fatto, perché semplicemente dovevo — dice oggi Rossi riferendosi a Grasso — Ci si può lasciare senza essere portati in tribunale, e poi perdere pure». Lo stesso avevano fatto anche altri due «uomini di partito», come Pier Luigi Bersani e Vasco Errani. Ma non l’ex senatore Ugo Sposetti, custode del tesoro del Pci, in attesa di un’ingiunzione da 75 mila euro: «Non parlo di questa vicenda — risponde seccato — Devo difendere il mio onore». L’ordine da parte del tribunale è in arrivo anche per altri due ex pd come Roberto Speranza e Nico Stumpo, morosi rispettivamente per 7.300 e 6.000 euro. Mentre per la categoria di chi ha rimediato prima delle carte bollate c’è anche un big come Matteo Richetti, che prima del voto aveva saldato circa 2o.000 euro.