La magnate del carbone che finanzia gli scettici del clima
Una sola goccia nel mare può trasformarsi in uno tsunami. E sulla riva ad aspettarlo c’è finita Gina Rinehart, la donna più ricca d’australia: nuotava felice in un oceano (di soldi) e ora rischia di annegarci dentro.
La 64enne Rinehart, un patrimonio personale di 18 miliardi dollari, da oltre vent’anni guida la più grande industria mineraria del suo continente, la Hancock Prospecting ereditata dal padre. Come molti altri magnati, Gina — settima donna più ricca sul pianeta — è felice di fare beneficenza, ma non ama rivelare in favore di chi. Pochi giorni fa ci ha pensato una corte del New South Wales, che è andata a indagare nei conti dell’azienda per conto della figlia di Rinehart, la 41enne Bianca, in guerra legale con la madre da anni per il controllo dell’impero. E ha scoperto che Gina, tra il 2016 e il 2017, ha finanziato con 4,5 milioni di dollari l’institute of Public Affairs, un think tank che promuove lo scetticismo sul cambiamento climatico. Niente di illegale al momento, ma di sicuro piuttosto imbarazzante per la donna diventata ultraricca grazie al carbone fossile. Quella che in più di un’intervista aveva sostenuto che «non esiste uno studioso in grado di dimostrare che uno 0,38% in più di anidride carbonica possa causare un aumento del surriscaldamento globale»; la stessa che minimizzava l’impatto dell’industria australiana definendo il suo «un Paese relativamente piccolo».
A sostegno delle sue tesi negazioniste, Rinehart poteva citare una serie di studi finanziati dall’ipa e quindi (di fatto) da lei stessa. Grazie ai fondi «di donatori che preferiscono rimanere anonimi», l’ipa ha pubblicato varie ricerche: l’ultima, del 2017, concludeva che «la maggior parte del riscaldamento globale recente è attribuibile a variazioni naturali», e non certo ai combustibili fossili usati dall’uomo con cui Gina è diventata miliardaria. Studi che secondo molti, tra cui Gavin Schmidt della Nasa, sono «imbarazzanti e privi di ogni fondamento scientifico».
L’institute of Public Affairs che da anni sponsorizza anche i tour di Christopher Monckton, deputato britannico dell’ukip tra i più famosi scettici del cambiamento climatico, finora aveva taciuto sui finanziatori. Più che una donazione, Gina ha fatto un investimento. Una goccia nel suo mare di denaro ma un gran sostegno per la lobby: l’ipa, che non è obbligata a pubblicare i propri bilanci, diceva di essere finanziata da individui per il 91%. Invece quei 4,5 milioni ricevuti dall’azienda di Rinehart costituirebbero circa i due terzi del loro fatturato. Una bugia, e forse non l’unica.