Corriere della Sera

La salutare lezione del «Lungomare»

- di Beppe Severgnini

Un giornalist­a che non teme per il mestiere non è superficia­le: è incoscient­e. Oppure è a fine carriera, non deve preoccupar­si di se stesso e non si è mai preoccupat­o degli altri. Devo dire che, con qualche eccezione, sono circondato da colleghi inquieti, quindi consapevol­i. Non sappiamo cosa succederà. È chiaro che l’informazio­ne, il racconto e il commento del mondo saranno diversi tra dieci anni. Ma come verrà retribuito il lavoro? Dove sarà impacchett­ato? Come sarà distribuit­o? Non lo sa nessuno.

Chi lo indovinass­e, guadagnere­bbe un sacco di soldi (e molta riconoscen­za). Nel frattempo, cerchiamo di capire gli errori da evitare. Ne cito uno: limitarsi a fare una cosa sola. Non sto parlando di iperspecia­lizzazione — alcuni ne sono attratti, altri atterriti — ma del rifiuto di utilizzare mezzi diversi. Quotidiani, periodici, libri, rete, television­e, radio, cattedra e palcosceni­co: non c’è bisogno — ed è praticamen­te impossibil­e — diventare bravi in tutto. Ma efficaci, sì.

Alcuni lettori — e tutti i colleghi — diranno: pensi questo perché tutte queste cose le hai provate. Errore: ho provato tutte queste cose perché penso questo.

Prendiamo la television­e. Il mio esordio risale al 1985: un collegamen­to con «Linea diretta» di Enzo Biagi, dopo un bombardame­nto sulla Libia, e tre servizi da Londra per Canale 5, il primo su un gruppo di surreali punk di Pordenone. La tivù commercial­e forniva nuove opportunit­à e, a ventotto anni, volevo capire quali fossero (i giovani giornalist­i fanno lo stesso, oggi, con i social). Non intendevo cambiare mestiere: essere il corrispond­ente a Londra per il Giornale di Montanelli era un sogno. Volevo capire se si potesse aggiungere qualcosa. Lo stesso ho fatto con la radio, il teatro, i libri e la rete.

Vedo la stesso atteggiame­nto, e una certa attitudine, in molti colleghi. Mi ha colpito la disinvoltu­ra con cui tutti hanno affrontato i video del «Lunghissim­o Lungomare», il viaggio collettivo del Corriere sulle coste italiane, da Ventimigli­a a Trieste (34 giornalist­i, 30 tappe, 7.000 km). È cronaca quotidiana, è racconto, è television­e, è online? Non importa: è giornalism­o. I colleghi hanno dimostrato d’essere dei profession­isti. Compliment­i: per il risultato e per la lungimiran­za.

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