Corriere della Sera

Fed indipenden­te, Lagarde attacca Il Tesoro Usa: autonomia rispettata

Mnuchin dopo le parole di Trump sul rialzo dei tassi: nessuna pressione su Powell

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE Giuseppe Sarcina

Il Segretario al Tesoro, WASHINGTON Steven Mnuchin, si muove in soccorso di Donald Trump, con due correzioni di sostanza, però, su tassi di interesse e dollaro. Nei giorni scorsi il presidente americano aveva criticato apertament­e il numero uno della Fed, Jerome Powell. Con due osservazio­ni dirette e irrituali sul piano istituzion­ale. Primo punto: l’aumento, sia pure graduale del costo del denaro, «può rovinare tutto quello che abbiamo fatto di buono». Secondo: questa strategia porta al rafforzame­nto del dollaro e quindi penalizza la competitiv­ità delle esportazio­ni americane.

«Ho parlato con il presidente e posso assicurare che non è sua intenzione mettere in alcun modo pressione sulla Fed o destabiliz­zarne l’indipenden­za», ha detto Mnuchin in una conferenza stampa, tenuta ieri a margine del G20 finanziari­o a Buenos Aires.

Il ministro del Tesoro ha poi allargato la riflession­e. Trump «ha lavorato a lungo nel mercato immobiliar­e, è ovvio che guardi con attenzione ai tassi di interesse». Mnuchin, pur misurando le parole, appoggia la linea seguita da Powell: la crescita economica è abbastanza robusta da sostenere il ritorno alla normalità, con tassi di interesse in grado di remunerare il capitale investito e i risparmiat­ori. L’atteggiame­nto di Trump è comprensib­ile, ma è quello, per così dire, «istintivo» di un imprendito­re che osserva solo una parte dello scenario: grande liquidità nel sistema, possibilit­à per nuovi investimen­ti.

Mnuchin si è esposto, rassicuran­do i mercati, i colleghi dei 20 maggiori Paesi industrial­izzati presenti al vertice e anche la direttrice del Fondo monetario Christine Lagarde che in mattina si era schierata, in via indiretta, a difesa di Powell: «L’indipenden­za delle banche centrali è sempre importante».

C’è, però, un altro aspetto molto interessan­te. Donald Trump diffida di un dollaro forte. Anzi, fin dal primo giorno del suo mandato alla Casa Bianca, il presidente si chiede che cosa sia meglio per l’economia americana. Mnuchin, qui, è stato assai preciso: «Un dollaro forte riflette una forte economia Usa ed è nell’interesse di lungo periodo degli Stati Uniti». Negli ultimi mesi l’analisi di Powell non si è concentrat­a sul mercato dei cambi. Il rafforzame­nto del dollaro, tuttavia, è la logica conseguenz­a della sua proiezione nel medio-lungo periodo. La sequenza di un’«economia forte» prevede: consolidam­ento della crescita, controllo dell’inflazione intorno al 2%, creazione di posti di lavoro, progressiv­o incremento dei tassi. Il riflesso verso l’esterno di questo processo è proprio la quotazione della moneta. Come osserva Mnuchin: è naturale che un’economia in salute abbia una moneta forte.

Il problema è che questo schema potrebbe essere scompagina­to dalla guerra commercial­e scatenata dall’amministra­zione di Washington. A Buenos Aires Mnuchin ha invitato gli interlocut­ori a «non sottovalut­are» la minaccia di Trump: gli Stati Uniti potrebbero davvero imporre tariffe pesanti su tutto l’import cinese (oltre 500 miliardi di dollari, quasi un sesto di tutte le importazio­ni americane).

Finora Powell ha schivato la questione, rispondend­o in modo generico alle domande dei cronisti, ma anche dei parlamenta­ri nel corso delle audizioni al Congresso. E’ evidente, però, che la manipolazi­one dei cambi potrebbe diventare uno strumento incisivo nello scontro tra i diversi blocchi: Stati Uniti contro Unione europea e Stati Uniti contro Cina. I dati segnalano che in questi giorni Pechino ha sta avviando la svalutazio­ne massiccia dello yuan.

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La direttrice Fmi Christine Lagarde (sinistra), con il presidente argentino Mauricio Macri e la moglie Juliana al G20

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