Tutti i marmi che fecero Roma
L’immensa opera di Raniero Gnoli cataloga le pietre utilizzate nel mondo antico. E i loro riusi
Rivede la luce un classico. Marmora romana di Raniero Gnoli è il libro di un saggio che, viaggiatore instancabile, ha visitato «tutti i principali luoghi e monumenti del bacino del Mediterraneo dove sono marmi antichi». Nulla è remoto e nulla è esotico per Gnoli, che parla con le pietre del passato, ritrovando i percorsi e i sentieri di Faustino Corsi, accompagnato dal marmoraro burbero e gentile Enrico Fiorentini, che io conobbi, agile e callido nel camice grigio, nella sua animata bottega in via Margutta. Lì si vedevano tutti i frammenti di marmi che fosse stato possibile raccogliere a Roma e intorno a palazzo Bonacossi a Ferrara, un mobile raffinatissimo concepito come espositore di marmi rari, ma certamente tra gli oggetti più preziosi e rari di un secolo in cui arte e scienza coincidono.
Gnoli è maestro di uomini intelligenti ed esigenti che da lui hanno appreso la differenza tra le opere d’arte d’invenzione dei geni, che sono uniche come persone dotate di corpo e di anima, e i mobili che possono essere riprodotti seguendo la traccia di un disegno, che è l’idea da cui deriva l’oggetto, grazie alla mano esperta di un artigiano. Per questa naturale predisposizione può essere detto «ebanista». Nelle sue invenzioni convivono e si esaltano legni e pietre. Nei suoi mobili ridono le pietre paesine. Così le due persone che egli indica tra gli amici che lo hanno accompagnato nella seconda edizione di Marmora romana del 1988 e in questa terza, Alvar González-palacios e Dario Del Bufalo, condividono questa posizione estetica. Del Bufalo lo ha seguito in diverse spedizioni in Egitto e in India alla ricerca di cave antiche, per trovare quelle pietre che abili artigiani sono in grado di trasformare in invenzioni antiche e senza tempo. Questa nuova edizione di Marmora romana è identica alle precedenti, nelle edizioni dell’elefante, opera compiuta e definitiva che non ha senso alterare o aggiornare, perché si dà come immutabile anche nella veste grafica. L’autore la sente lontana da sé, affidata al suo destino: intervenire, mutarla, rinnovarla gli sarebbe sembrato come porre mano al libro di un altro.
Nessuno è più nobile dell’uomo che ama le pietre. È facile per molte anime sensibili coltivare la letteratura, studiare i dipinti, ascoltare ed eseguire le musiche più suadenti. Ma chi ama le pietre trova in esse l’anima segreta della terra. Nei palazzi veneziani del Quattrocento e del Cinquecento le strutture architettoniche in pietra d’istria incorniciano specchi di pietra verde, rossa, arancione: sono dischi, riquadri di porfido di serpentino, fette di colonne, riposizionate a vivere in altre forme e altri corpi, in una continua transumanza da Roma, da Costantinopoli, da Aquileia, da Quarto d’altino e forse anche da Efeso, da Corfù. Le pietre si spostano, si muovono da un edificio all’altro, da una città all’altra. Rinascono, non invecchiano e non muoiono mai. La storia dell’uomo è accompagnata dal movimento delle pietre.
Roma ritorna nel Rinascimento: le pietre sezionate, trasformate, riutilizzate, rilavorate raccontano di epoche e di storie lontane. Gli uomini se ne sono andati, le pietre restano. Così nelle diverse civiltà vengono consacrate. La Chiesa si fonda sul nome di Pietro e ovunque in Europa gli altari includono frammenti di pietre provenienti da Roma dove il mondo cristiano ha la sua origine e il suo centro. Per questo nessuna pietra è più preziosa di una pietra trovata o proveniente da Roma, nessuna è più sacra.
Fu il primo a riconoscere, in perfetta solitudine, la presenza di Cristo nella domus di Porta Marina ad Ostia, realizzata con la tecnica marmorea dell’opus sectile, l’unico esempio che si conosca di questo sofisticato tipo di decorazione, ricostruita oggi negli spazi del Museo dell’alto Medioevo all’eur: una figura molto discussa per l’evidente somiglianza, ritenuta troppo precoce, in uno spazio ricco e prezioso e, all’apparenza, estraneo alla fede cristiana. Ma quel volto, il gesto benedicente e quella simbologia apparvero subito a Gnoli inequivocabili.
In ogni civiltà, in ogni terra, presso ogni fiume, le pietre hanno una storia e un significato arcano. Le pietre accompagnano l’umanità dalle sue origini, proteggendo
Le suggestioni
Sezionate, trasformate, smosse, rilavorate, le pietre raccontano di epoche e di storie lontane. Gli uomini se ne vanno, loro restano
chi le raccoglie e chi le conserva, difendendola dalle forze maligne, annunciando felicità e successo. Ogni pietra agisce con un diverso influsso: ripara dai malanni, conserva la salute, annulla gli effetti del veleno, accompagna sulla buona rotta pellegrini e naviganti, ed è sempre preziosa anche quando è un comune sasso. I miti, i riti e le leggende, così come le ricerche scientifiche, ci dicono che le pietre conservano la salute e determinano il destino degli uomini. Ma perché l’influenza delle pietre sia benefica occorre che la loro scelta sia fatta con attenzione e con giudizio. Il saper selezionare le pietre giuste è dei sapienti, dei colti, dei capaci. Nell’antichità si riteneva veramente ricco chi possedeva pietre rare e preziose. Fra i dotti del nostro tempo Raniero Gnoli, discepolo di Giuseppe Tucci, per più di trent’anni professore ordinario di Indologia all’università La Sapienza, ha raccolto e studiato tutte le pietre preziose dell’antica Roma, classificate nel suo celebre Marmora romana. Identiche nel tempo, ma non ferme, mobili, erratiche, ritornano ora davanti a noi, custodite con la loro storia in questo libro prezioso.