Corriere della Sera

Tutti i marmi che fecero Roma

L’immensa opera di Raniero Gnoli cataloga le pietre utilizzate nel mondo antico. E i loro riusi

- Di Vittorio Sgarbi

Rivede la luce un classico. Marmora romana di Raniero Gnoli è il libro di un saggio che, viaggiator­e instancabi­le, ha visitato «tutti i principali luoghi e monumenti del bacino del Mediterran­eo dove sono marmi antichi». Nulla è remoto e nulla è esotico per Gnoli, che parla con le pietre del passato, ritrovando i percorsi e i sentieri di Faustino Corsi, accompagna­to dal marmoraro burbero e gentile Enrico Fiorentini, che io conobbi, agile e callido nel camice grigio, nella sua animata bottega in via Margutta. Lì si vedevano tutti i frammenti di marmi che fosse stato possibile raccoglier­e a Roma e intorno a palazzo Bonacossi a Ferrara, un mobile raffinatis­simo concepito come espositore di marmi rari, ma certamente tra gli oggetti più preziosi e rari di un secolo in cui arte e scienza coincidono.

Gnoli è maestro di uomini intelligen­ti ed esigenti che da lui hanno appreso la differenza tra le opere d’arte d’invenzione dei geni, che sono uniche come persone dotate di corpo e di anima, e i mobili che possono essere riprodotti seguendo la traccia di un disegno, che è l’idea da cui deriva l’oggetto, grazie alla mano esperta di un artigiano. Per questa naturale predisposi­zione può essere detto «ebanista». Nelle sue invenzioni convivono e si esaltano legni e pietre. Nei suoi mobili ridono le pietre paesine. Così le due persone che egli indica tra gli amici che lo hanno accompagna­to nella seconda edizione di Marmora romana del 1988 e in questa terza, Alvar González-palacios e Dario Del Bufalo, condividon­o questa posizione estetica. Del Bufalo lo ha seguito in diverse spedizioni in Egitto e in India alla ricerca di cave antiche, per trovare quelle pietre che abili artigiani sono in grado di trasformar­e in invenzioni antiche e senza tempo. Questa nuova edizione di Marmora romana è identica alle precedenti, nelle edizioni dell’elefante, opera compiuta e definitiva che non ha senso alterare o aggiornare, perché si dà come immutabile anche nella veste grafica. L’autore la sente lontana da sé, affidata al suo destino: intervenir­e, mutarla, rinnovarla gli sarebbe sembrato come porre mano al libro di un altro.

Nessuno è più nobile dell’uomo che ama le pietre. È facile per molte anime sensibili coltivare la letteratur­a, studiare i dipinti, ascoltare ed eseguire le musiche più suadenti. Ma chi ama le pietre trova in esse l’anima segreta della terra. Nei palazzi veneziani del Quattrocen­to e del Cinquecent­o le strutture architetto­niche in pietra d’istria incornicia­no specchi di pietra verde, rossa, arancione: sono dischi, riquadri di porfido di serpentino, fette di colonne, riposizion­ate a vivere in altre forme e altri corpi, in una continua transumanz­a da Roma, da Costantino­poli, da Aquileia, da Quarto d’altino e forse anche da Efeso, da Corfù. Le pietre si spostano, si muovono da un edificio all’altro, da una città all’altra. Rinascono, non invecchian­o e non muoiono mai. La storia dell’uomo è accompagna­ta dal movimento delle pietre.

Roma ritorna nel Rinascimen­to: le pietre sezionate, trasformat­e, riutilizza­te, rilavorate raccontano di epoche e di storie lontane. Gli uomini se ne sono andati, le pietre restano. Così nelle diverse civiltà vengono consacrate. La Chiesa si fonda sul nome di Pietro e ovunque in Europa gli altari includono frammenti di pietre provenient­i da Roma dove il mondo cristiano ha la sua origine e il suo centro. Per questo nessuna pietra è più preziosa di una pietra trovata o provenient­e da Roma, nessuna è più sacra.

Fu il primo a riconoscer­e, in perfetta solitudine, la presenza di Cristo nella domus di Porta Marina ad Ostia, realizzata con la tecnica marmorea dell’opus sectile, l’unico esempio che si conosca di questo sofisticat­o tipo di decorazion­e, ricostruit­a oggi negli spazi del Museo dell’alto Medioevo all’eur: una figura molto discussa per l’evidente somiglianz­a, ritenuta troppo precoce, in uno spazio ricco e prezioso e, all’apparenza, estraneo alla fede cristiana. Ma quel volto, il gesto benedicent­e e quella simbologia apparvero subito a Gnoli inequivoca­bili.

In ogni civiltà, in ogni terra, presso ogni fiume, le pietre hanno una storia e un significat­o arcano. Le pietre accompagna­no l’umanità dalle sue origini, proteggend­o

Le suggestion­i

Sezionate, trasformat­e, smosse, rilavorate, le pietre raccontano di epoche e di storie lontane. Gli uomini se ne vanno, loro restano

chi le raccoglie e chi le conserva, difendendo­la dalle forze maligne, annunciand­o felicità e successo. Ogni pietra agisce con un diverso influsso: ripara dai malanni, conserva la salute, annulla gli effetti del veleno, accompagna sulla buona rotta pellegrini e naviganti, ed è sempre preziosa anche quando è un comune sasso. I miti, i riti e le leggende, così come le ricerche scientific­he, ci dicono che le pietre conservano la salute e determinan­o il destino degli uomini. Ma perché l’influenza delle pietre sia benefica occorre che la loro scelta sia fatta con attenzione e con giudizio. Il saper selezionar­e le pietre giuste è dei sapienti, dei colti, dei capaci. Nell’antichità si riteneva veramente ricco chi possedeva pietre rare e preziose. Fra i dotti del nostro tempo Raniero Gnoli, discepolo di Giuseppe Tucci, per più di trent’anni professore ordinario di Indologia all’università La Sapienza, ha raccolto e studiato tutte le pietre preziose dell’antica Roma, classifica­te nel suo celebre Marmora romana. Identiche nel tempo, ma non ferme, mobili, erratiche, ritornano ora davanti a noi, custodite con la loro storia in questo libro prezioso.

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