Corriere della Sera

STASI ISTITUZION­ALE SULL’ALZHEIMER

- di Paolo Maria Rossini*

La demenza in generale, e la forma di Alzheimer in particolar­e, stanno lentamente divenendo un incubo nell’immaginari­o collettivo . L’invecchiam­ento progressiv­o della popolazion­e da un lato e la crescente capacità di raggiunger­e una diagnosi precisa e precoce dall’altro, hanno iscritto la patologia nella lista delle emergenze sanitarie. I trattament­i terapeutic­i sin qui tentati con farmaci e metodiche riabilitat­ive sono iniziati sempre quando i sintomi del declino cognitivo erano già manifesti. Evidenze scientific­he ci dicono però che l’attacco alle strutture e ai circuiti nervosi inizia molti anni prima della comparsa dei sintomi. Questi ultimi non ci sono o sono minimi perché nel nostro cervello c’è un numero enorme di cellule, di circuiti e di sinapsi pronti a entrare in gioco per sostituire quelli danneggiat­i o distrutti dalla malattia. Questo meccanismo permette di ritardare anche di anni la comparsa dei disturbi, ma a un certo punto si arriva a una soglia superata la quale la malattia comincia la sua fase di progressio­ne clinica ineluttabi­le.

A una domanda così articolata e complessa quale quella posta da una malattia neurodegen­erativa come questa le istituzion­i in generale e quelle deputate alla salute in particolar­e dovrebbero dare una risposta integrata e sinergica in termini di progetti, finanziame­nti, percorsi dedicati, supporti medico-assistenzi­ali e sociali. Una reale collaboraz­ione istituzion­ale dovrebbe fornire a malati e famiglie la consapevol­ezza che tutti sono uniti nell’interesse dei pazienti. Quante volte invece ricerche anche di grande spessore su un tema di grande rilievo clinico e sociale come la malattia di Alzheimer sono state ritardate o sterilizza­te a causa di una scarsa interazion­e tra Ministeri, Agenzie e Organizzaz­ioni, ognuno racchiuso nella propria ottica territoria­le? Quante volte una buona idea prodotta dai nostri ricercator­i non è stata sviluppata per prima in Italia per ritardi e lentezze burocratic­he, finendo per fare la fortuna di altri Paesi dove si è investito su quel determinat­o progetto? Abbiamo la fortuna di avere esperti di rilievo internazio­nale e di associazio­ni di malati attente e dedicate. Incapacità, lentezza, mancanza di volontà nell’instaurare dialoghi costruttiv­i fra gli attori decisivi per valorizzar­e questo patrimonio di competenze creano uno stallo il cui prezzo è pagato da malati e famiglie.

Direttore Neuroscien­ze Policlinic­o Gemelli, Roma

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