A ognuno la cura giusta per la sua lombalgia
Secondo la rivista scientifica The Lancet la malattia rappresenta la prima causa di disabilità a livello internazionale. Anche in Italia è il principale motivo di assenza dal lavoro. Sebbene ii problema si possa affrontare in modo razionale la maggioranza
Sono numeri sempre impressionanti, quelli del mal di schiena: si sa, per esempio, che l’80 per cento di noi prima o poi ne soffrirà. Ma i dati snocciolati da The Lancet in occasione di un recente numero speciale dedicato all’argomento sono davvero preoccupanti: oggi la lombalgia è la prima causa di disabilità nel mondo, con i casi più complessi cresciuti del 54 per cento negli ultimi 25 anni, e anche nel nostro Paese è il motivo principale per cui ci si assenta dal lavoro. Date le premesse, ci si aspetterebbe che il problema venga affrontato ovunque nel modo migliore; invece gli esperti sottolineano che la maggioranza dei pazienti riceve tuttora cure sbagliate o inadeguate.
Gli studi scientifici sono chiari: il mal di schiena va curato principalmente con esercizi specifici, attività fisica regolare e imparando a gestire la quotidianità, senza mai rimanere fermi. Eppure, nella realtà, la maggioranza dei pazienti si sente invece dire di stare a riposo, prende farmaci a sproposito o troppo a lungo, si sottopone a esami inutili e finisce al Pronto Soccorso o sotto i ferri del chirurgo senza che ce ne sia una vera necessità. Una mezza catastrofe mondiale: i dati di The Lancet si ri-
Non esiste un solo mal di schiena .
La sfida oggi è classificare meglio i pazienti e individuare i diversi sottotipi di mal di schiena per arrivare ad approcci più specifici per ciascuno
feriscono a decine di Paesi diversi ma l’andazzo è uguale ovunque: dagli Stati Uniti, dove gli oppioidi vanno per la maggiore e solo a una persona su due viene consigliato l’esercizio, al Sudafrica, dove la terapia consiste nei soli antidolorifici nel 90 per cento dei casi.
Neppure l’italia è un esempio virtuoso, come conferma Sabrina Donzelli fisiatra di ISICO (Istituto Scientifico Italiano Colonna Vertebrale) di Milano: «La cura sbagliata arriva per vari motivi. Innanzitutto, perché spesso chi ne soffre cerca una “bacchetta magica” per eliminare il problema senza impegnarsi troppo: l’urgenza di risolvere senza sforzo il mal di schiena può portare a scegliere soluzioni che non sono davvero tali. In più, la lombalgia è una condizione complessa, dalle tante e diverse facce, a cui concorrono molti fattori e per la quale gli stessi studi scientifici non ci danno certezze assolute circa l’efficacia delle terapie.
«Gli antinfiammatori, per esempio, sono l’unica classe di farmaci che in alcune ricerche hanno dimostrato di essere superiori al placebo e sono una buona scelta per un trattamento di pochi giorni, ma alcune forme di lombalgia non rispondono alla terapia. La sfida oggi è perciò classificare meglio i pazienti, individuare i diversi sottotipi di mal di schiena per arrivare ad approcci più specifici per ciascuno». Non esiste insomma un solo mal di schiena ma problemi diversi a seconda di parametri come l’alterazione responsabile del dolore, la durata dei sintomi, l’età, le posizioni che aggravano i fastidi, la presenza o meno di sintomi come l’ansia. «Non c’è una cura che vada bene a tutti perché non esiste un paziente uguale all’altro: a parità di lesione, due persone possono avere sintomi più o meno pesanti; lo stesso trattamento, su due soggetti distinti, può sortire effetti completamente diversi. Anche per questo le terapie possono risultare inadeguate — aggiunge Alessandra Negrini, fisioterapista di ISICO —. Si scontano poi abitudini radicate: è ancora largamente diffusa l’idea che con il mal di schiena ci si debba fermare e mettere a letto».
È vero il contrario, il tempo passato immobili dovrebbe essere limitato ai momenti più acuti di dolore ma poi è bene cercare il più possibile di non farsi limitare nella vita quotidiana. Gli errori, poi, nascono spesso dalla mancanza di un corretto percorso di diagnosi e cura: quando il mal di schiena non si risolve bisogna parlarne al medico di base, che già può dare indicazioni utili, mentre l’ortopedico non serve quasi mai subito.
«L’ideale è trovare un fisiatra che si occupi di colonna vertebrale, una figura essenziale quando il problema persiste e non risponde all’attività fisica regolare o a terapie posturali — dice Donzelli —. Non servono neppure chissà quali esami diagnostici: molti credono di doversi sottoporre a Tac o Risonanza Magnetica, in realtà nel caso di un primo episodio spesso non serve alcun test, mentre quando c’è una recidiva o il dolore non passa può bastare anche solo una radiografia della colonna. La radiografia peraltro è utile prima di iniziare una qualsiasi terapia perché serve a verificare che non ci siano malformazioni o condizioni tali da controindicare certi esercizi o manipolazioni».
Dopo un episodio di lombalgia, quindi, vietato farsi prendere dall’ansia: nella maggior parte dei casi, infatti, si risolve da sé nell’arco di 6-8 settimane. La preoccupazione eccessiva, inoltre, può portare ad aggravare la faccenda, entrando in un circolo vizioso da cui diventa sempre più complicato uscire anche provando ad affidarsi alle terapie più disparate. «Occuparsi anche del vissuto e delle emozioni del paziente, quindi, è una parte essenziale di un trattamento che funzioni», conclude Donzelli.
Errori comuni Stare a riposo, prendere farmaci a sproposito o troppo a lungo, fare esami inutili, andare subito al Pronto soccorso, senza dirlo al medico