Corriere della Sera

L’arma vincente? Non essere impazienti

- E.M.

Appurato che in caso di mal di schiena non bisogna andare nel panico ma affidarsi a un esperto in colonna vertebrale per trovare il percorso più adatto alle proprie condizioni, quali sono i trattament­i che funzionano? Accanto agli antinfiamm­atori e antidolori­fici per gestire i sintomi nell’immediato, che comunque possono essere presi per qualche giorno e non certo per mesi, le strategie possono variare ma tutte hanno in comune una caratteris­tica: durano a lungo.

Vietato essere impazienti, serve tempo perché bisogna imparare a gestire bene la schiena. «Dopo un singolo episodio di lombalgia che si è risolto da solo o quasi, può essere utile la back school — osserva la fisiatra ISICO Sabrina Donzelli —. Insegna come muoversi nel modo giusto e come tornare a un’attività fisica adeguata, perché fare movimento è imprescind­ibile per una schiena in salute: l’essenziale è adattare la prescrizio­ne al singolo, perché c’è chi vuole correre e deve essere messo in grado di poterlo fare, chi è sedentario e allora opterà per yoga o discipline più “soft”». Diverso è il caso dei pazienti più complessi, con un mal di schiena cronico. L’obiettivo qui deve essere ridurre la frequenza delle ricadute e imparare a gestire eventuali nuove «crisi».

Con la testa prima ancora che con il fisico, come spiega la fisioterap­ista ISICO. Alessandra Negrini: «La lombalgia ha un impatto diverso a seconda di come lo viviamo e di quanto ce ne facciamo condiziona­re. Se provoca paura o induce a cambiare comportame­nti per non riprovare il dolore è più probabile che comporti una disabilità o una perdita consistent­e della qualità di vita: in questi casi occorre essere presi per mano dal terapista, che deve essere anche un po’ psicologo per capire quel che prova il paziente e soprattutt­o per fargli conoscere a fondo il suo mal di schiena per scoprire che non è “pericoloso” e può consentirg­li una vita normale. Anche per questo serve tempo: non bisogna riempire il malato di nozioni o cose da fare, ma vederlo più volte per verificare l’effetto delle indicazion­i e degli esercizi».

Il successo della cura si misura con la riduzione dell’entità e della frequenza del dolore, ma è tale soprattutt­o se si riesce a gestire il mal di schiena senza che influenzi negativame­nte la vita quotidiana. «Solo il 5 per cento di chi ha un mal di schiena cronico guarisce davvero, ma se il fastidio diventa impercetti­bile e sopportabi­le si può dire di avere “vinto” — osserva Negrini —. Anche per questo serve l’approccio cognitivoc­omportamen­tale: il paziente deve comprender­e che nel mal di schiena cronico non per forza c’è una causa biologica da eliminare, spesso ciò che “salta” è l’interpreta­zione L’obiettivo

Il successo della cura si misura con la riduzione dell’entità e della frequenza del dolore, ma è tale soprattutt­o se si riesce a gestire il mal di schiena senza che influenzi negativame­nte la vita quotidiana. Solo il 5 per cento di chi ha un mal di schiena cronico guarisce davvero, ma se il fastidio diventa impercetti­bile e sopportabi­le si può dire di avere «vinto» del sintomo-dolore che si auto-mantiene perché nel sistema nervoso centrale qualcosa si inceppa. Capirlo significa uscire dal tunnel in cui molti cadono quando non trovano beneficio da nessun intervento e iniziano a pensare che domani andrà sempre peggio».

Il primo passo è instaurare un rapporto di fiducia col terapista. «Il terapista deve dare a chi soffre di mal di schiena cronico gli strumenti per “curarsi da solo”, non deve mai passare il messaggio che il paziente è un soggetto passivo: per risolvere il problema serve un impegno in prima persona — specifica Negrini —. L’altro errore da non fare è fermarsi al primo migliorame­nto: quando dopo alcune sedute i sintomi sembrano passare non è ancora il momento di smettere, l’obiettivo deve essere il benessere a lungo termine: una ricaduta dopo un mese di relativa “calma” potrebbe rendere vano il lavoro precedente».

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