Il vicepremier attendista Ma il «collega» Di Maio vuole un’altra soluzione
M5S spera in una svolta anche dentro il consiglio
Dopo il caos, il silenzio. O quasi. Dichiarazioni distillate come gocce di sudore, clima rovente tra Lega e Forza Italia e il sospetto che la soluzione del rebus Rai salterà fuori solo dopo Ferragosto.
Dichiarando che tra alleati di un «centrodestra ineliminabile» bisogna «sempre andare d’accordo», Silvio Berlusconi ha dato una carezza sulla guancia di Matteo Salvini, provando a farsi perdonare lo schiaffo della bocciatura di Marcello Foa. Ma il vicepremier fa l’offeso e prende tempo, aspetta che l’arrabbiatura per il «tradimento di Forza Italia» passi e medita di lasciare il presidente silurato dalla Vigilanza al suo posto il più a lungo possibile, in quanto consigliere anziano: «Se il mio nome per la presidenza Rai resta quello di Marcello Foa? Assolutamente sì».
Il piano attendista del ministro dell’interno si scontra con le preoccupazioni del M5S. Luigi Di Maio, che aveva detto sì al ritorno in campo di Foa «solo se c’è accordo», vive con crescente disagio l’imbarazzante stallo ai piani alti di viale Mazzini. In virtù del patto di ferro che lo lega al leader del Carroccio, il vicepremier pentastellato non forzerà la mano e non cercherà lo scontro, ma certo non approva che «una questione tutta interna al centrodestra», per dirla con il senatore del M5S Gianluigi Paragone, blocchi le nomine al vertice del servizio pubblico.
Per Di Maio la soluzione va trovata in fretta, perché la prima azienda culturale del Paese deve riprendere a funzionare sotto le insegne gialloverdi e deve avere, ripetono i grillini, «un presidente autonomo dalla politica». I Cinque Stelle aspettano che Salvini batta un colpo e sperano che anche il Cda — che ieri ha fatto di nuovo flop — si assuma le proprie responsabilità, magari scegliendo il presidente al proprio interno tra i consiglieri Giampaolo Rossi e Riccardo Laganà.
Quanto si può andare avanti, con la Rai guidata da un presidente che presidente non è perché bocciato dal Parlamento sovrano e con le opposizioni che preparano le carte bollate? E come si può, la prossima settimana, procedere con le nomine di direttori di rete e di tiggì in un clima così avvelenato?
Un certo smarrimento si respira anche nella Lega, alle
I nodi
La difficoltà delle dimissioni: il giornalista ha lasciato il lavoro, ora ha solo il gettone Rai
prese con l’inattesa battuta di arresto di un «Capitano» che, questa volta, non ha un coniglio nel berretto. Il piano di Salvini è di andare avanti a tappe, o forse a tentoni, riempiendo di volta in volta solo le caselle vacanti.
Le nomine di Jacopo Volpi per Rai Sport e di Mario Tarolli per Rai Pubblicità sono mature e il governo è pronto a procedere. Per il Tg1 e il Tg2 invece, Gennaro Sangiuliano e Alberto Matano dovranno attendere e così Luca Mazzà, che confida di essere riconfermato alla guida del Tg3.
E se la linea di via Bellerio è tirare dritto con Foa, dietro le quinte si tentano altre strade. Le dimissioni del presidente disarcionato sarebbero per Salvini il modo più semplice per cavarsi d’impaccio, se non fosse che il giornalista ha lasciato il suo posto al Corriere del Ticino e dunque non ha più uno stipendio, ma solo un gettone di presenza come membro del Cda. Per convincerlo a rinunciare, dicono i boatos di viale Mazzini, ci vorrebbe una proposta di lavoro adeguata.