Corriere della Sera

Olimpiadi, l’ultimo appello di Sala: «Milano c’è, il Coni deve scegliere»

Il sindaco rivendica il nome: è un brand. Appendino: masterplan incomprens­ibile

- Andrea Senesi

Beppe Sala non si sfila dalla candidatur­a unitaria per i Giochi invernali del 2026. Non del tutto, almeno. Perché se da un lato conferma una volta di più l’intenzione di Milano di rimanere fuori dalla futura società di gestione dell’evento, dall’altro il sindaco si preoccupa di abbassare il tono della polemica verso Coni e governo: «Ci voglio credere a una candidatur­a unitaria italiana, ma si faccia un atto di coraggio e si facciano delle scelte più precise».

Chiarezza, predica Sala. Sulla governance, ma non solo. Palazzo Marino chiede che la candidatur­a «tripartita» porti (o comunque richiami) il nome di Milano. Basta scorrere l’elenco delle ultime assegnazio­ni del Cio: Tokyo (per i Giochi del 2020), Pechino (Olimpiadi invernali del 2022), Parigi (2024) e Los Angeles (2028). Come a dire: serve una metropoli per convincere il comitato internazio­nale. «È l’olimpiade che ha bisogno di Milano, non viceversa», sottolinea con orgoglio il sindaco. Tant’è vero che i lavori per il futuro palazzetto olimpico da 15 mila posti partiranno prima degli eventuali bandi di gara a cinque cerchi, si concludera­nno nel 2023 e l’arena di Santa Giulia servirà alla città per la musica e i concerti molto più che per le discipline invernali.

A Milano, nei piani del suo sindaco, dovrebbero poi rimanere gli uffici e il quartier generale dell’evento, mentre meno decisiva è la questione del «monopolio» sulle cerimonie d’apertura e chiusura. «Si sta sbagliando qualcosa perché forse non si stanno valorizzan­do i punti di forza della nostra città». I dubbi più consistent­i rimangono però quelli legati alla futura governance dell’evento. Osserva Sala: «Qualcuno dovrà gestire la preparazio­ne di questo evento e di nuovo torno all’esperienza di Expo, dove non è stato semplice confrontar­si con diversi azionisti, come Comune e Regione». Mi chiedo in che condizioni sarà la persona che sceglieran­no che dovrà dialogare con le diverse giunte delle città. In questa situazione, che ha le premesse per diventare difficile, dico che Milano è disponibil­e a diventare sede di eventi e gare, ma non a essere partecipe in una situazione così poco chiara».

Quanto ai sospetti intorno a una decisone considerat­a «pilatesca», frutto degli equilibris­mi politici interni al governo giallo-verde, Sala taglia corto: «Più che punire Milano si è voluto tutelare i territori considerat­i politicame­nte più vicini». «Ma — riassunto di giornata — per non scontentar­e nessuno si è finisce sempre per scontentar­e tutti».

E in effetti se Sala protesta, anche Torino non s’accontenta. «Un masterplan così esteso per la candidatur­a non credo sia la migliore proposta. Cosi com’è non mi convince per nulla», attacca la sindaca Chiara Appendino: «La nostra proposta era la migliore. Ora ci propongono un percorso diverso, nazionale. Auspichiam­o che il governo si faccia protagonis­ta e che illustri ai sindaci coinvolti un dossier che ancora nessuno di noi ha visto».

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