Corriere della Sera

L’asse Giorgetti-di Maio per «ridurre le ambizioni» dell’ex manager di Expo

Il governo sostiene la candidatur­a, ma solo se unitaria

- di Andrea Arzilli

La candidatur­a a tre città va avanti mentre sullo sfondo si continua a trattare: il presidente Giovanni Malagò, il governo e i tre sindaci, due dei quali, Milano e Torino, esplicitam­ente insoddisfa­tti dalla prospettiv­a di correre in una squadra e non, come sognavano, in solitaria. Interlocut­ore costante di Malagò è il sottosegre­tario alla Presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti. E forse proprio a lui il presidente del Coni si riferiva quando ha voluto precisare che «tutti i 13 punti chiesti dal governo sono stati rispettati». Probabilme­nte un modo per smarcarsi dalla questione politica scaturita con il passaggio da tre ad un solo dossier per la candidatur­a italiana.

Il fatto, però, è che sulla corsa ai Giochi 2026 si giocano molti interessi politici: quello della Lega e soprattutt­o dei 5 Stelle. Non a caso Giorgetti ha voluto ribadire la volontà dell’esecutivo di sostenere la candidatur­a, ma solo a patto che «le città interessat­e rinuncino a una parte significat­iva di ambizioni», un messaggio che è sembrato diretto proprio ai sindaci delle città deluse dalla corsa a tre (e da ieri anche la Valle d’aosta vorrebbe entrare in squadra).

Non è un mistero, infatti, che la sindaca Chiara Appendino avrebbe voluto una candidatur­a solitaria per Torino, è stata lei stessa a dirlo esponendos­i pure alle contestazi­oni della sua maggioranz­a in Comune: su questo il vicepremie­r Luigi Di Maio si è speso molto, ma poi è dovuto tornare su posizioni meno assolute quando si è visto costretto a mediare rispetto alla posizione del Carroccio. Per la Lega, del resto, quella dell’olimpiade potrebbe essere una carta da giocare in chiave elettorale non appena si porrà il problema di scendere in campo per il sindaco di Milano alla scadenza del mandato di Giuseppe Sala, tra tre anni. Su questo Giorgetti si muoverebbe in tandem con il governator­e della Lombardia Attilio Fontana, che è anche suo caro amico e che ha preso parte alla polemica politica chiedendo a gran voce «chiarezza sulla governance», per altro la stessa richiesta di Sala.

Per il governo, infatti, è pacifico che alla fine, passata la fase del lancio della candidatur­a, dovrà esserci una città “capofila”, anche se, al momento, lo stesso Malagò avrebbe deciso di non sbilanciar­si proprio per andare incontro alle esigenze dell’esecutivo nella speranza di ottenere l’appoggio alla riconferma al vertice del Coni.

Il ragionamen­to che fa Sala, invece, punta sul pregresso felice dell’expo milanese, non a caso più volte citato in questa due giorni di botte e risposte Roma-milano-torino. Una città, un grande evento dal respiro internazio­nale e le redini in mano ad una figura di garanzia che gestisca la logistica, gli appalti e poi le opere dopo la realizzazi­one. Il modello è stato vincente nel 2015 con Giuseppe Sala commissari­o unico, e può valere anche per le Olimpiadi invernali 2026, almeno questa era l’idea prima che spuntasse la proposta del Coni, poi avallata dal Cio. Quando il sindaco di Milano chiede al governo «un atto di coraggio» si riferisce proprio a quel modello vincente che ha rilanciato la città che governa. E confida nella posizione di Malagò che ha eccepito non nella sostanza («Capisco benissimo le sue parole»), ma nella tempistica («Ne parleremo quando avremo in mano le Olimpiadi»).

Non basta a Milano il ruolo di capofila occulta grazie al super villaggio olimpico da cento milioni, alla garanzia, seppure informale, di ospitare le cerimonie di apertura e chiusura evento a San Siro e la buona parte delle gare sportive in programma, tra Milano e Valtellina. Così si continua a trattare nella consapevol­ezza che senza accordo le possibilit­à di vittoria saranno fortemente ridotte.

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