Progetto Libellula: Google si arrende e studia un’app per tornare in Cina
La resistenza di Google al fascino oscuro del mercato cinese potrebbe crollare dopo una fiera opposizione durata otto anni. Dopo aver lasciato la Cina nel 2010 per protesta contro la «censura e i tentativi di hackeraggio dei nostri sistemi» da parte della Repubblica popolare, il gigante di Mountain View sarebbe pronto a tornare sui suoi passi: secondo le rivelazioni di The Intercept l’azienda americana starebbe lavorando al lancio di una nuova applicazione per il mercato cinese, un motore di ricerca «censurato» per gli smartphone Android che filtrerebbe in automatico i siti e i termini oscurati dal governo, finendo per accettare in toto le restrizioni imposte a Internet dal «Great Firewall» di Pechino.
Secondo gli anonimi dipendenti di Google che hanno svelato il fascicolo top secret, il «project Dragonfly» (progetto Libellula) porterebbe al lancio dell’app entro 6-9 mesi, a patto che il presidente Xi Jinping — a cui è già stato illustrato — lo approvi. Non è scontato: i colloqui tra l’amministratore delegato Sundar Pichai e gli alti ufficiali cinesi erano iniziati
A 8 anni dall’addio Mountain View prepara un motore di ricerca che oscuri termini e siti sgraditi al governo
nel 2017, prima che Donald Trump lanciasse la guerra dei dazi alla Cina che ha frenato tutto il processo (ma ora Pechino potrebbe giocare la carta di Google per fare pressione sul presidente Usa).
I vertici del Big tech non commentano, ma le associazioni per i diritti umani sono già insorte. In un Paese dove sono bloccati Facebook, Instagram, Twitter e Wikipedia, inaccessibili New York Times, Wall Street Journal e Bbc, dove i 750 milioni di internauti (quanti quelli di tutta Europa) che usano il limitatissimo motore di ricerca Baidu non ottengono risultati per termini come «dissidenti» e «Tienanmen», la resa di un colosso occidentale come Google appare come «un enorme colpo per la libertà d’informazione — denuncia Amnesty International — e un giorno buio per la libertà della rete». Per Patrick Poon, ricercatore della Ong, sarebbe «un trionfo del governo cinese e un pericoloso precedente: il segnale che nessuno proverà più a sfidare la censura». Lo fece proprio Google nel 2010, rinunciando a offrire Youtube, il motore di ricerca e il Play store. Il ritorno di quest’ultimo è il vero obiettivo: nel 2017 sui software concorrenti i cinesi avrebbero scaricato applicazioni per 35 miliardi di dollari. Una torta a cui Google sembra non voler più rinunciare.