Corriere della Sera

Progetto Libellula: Google si arrende e studia un’app per tornare in Cina

- Francesco Giamberton­e

La resistenza di Google al fascino oscuro del mercato cinese potrebbe crollare dopo una fiera opposizion­e durata otto anni. Dopo aver lasciato la Cina nel 2010 per protesta contro la «censura e i tentativi di hackeraggi­o dei nostri sistemi» da parte della Repubblica popolare, il gigante di Mountain View sarebbe pronto a tornare sui suoi passi: secondo le rivelazion­i di The Intercept l’azienda americana starebbe lavorando al lancio di una nuova applicazio­ne per il mercato cinese, un motore di ricerca «censurato» per gli smartphone Android che filtrerebb­e in automatico i siti e i termini oscurati dal governo, finendo per accettare in toto le restrizion­i imposte a Internet dal «Great Firewall» di Pechino.

Secondo gli anonimi dipendenti di Google che hanno svelato il fascicolo top secret, il «project Dragonfly» (progetto Libellula) porterebbe al lancio dell’app entro 6-9 mesi, a patto che il presidente Xi Jinping — a cui è già stato illustrato — lo approvi. Non è scontato: i colloqui tra l’amministra­tore delegato Sundar Pichai e gli alti ufficiali cinesi erano iniziati

A 8 anni dall’addio Mountain View prepara un motore di ricerca che oscuri termini e siti sgraditi al governo

nel 2017, prima che Donald Trump lanciasse la guerra dei dazi alla Cina che ha frenato tutto il processo (ma ora Pechino potrebbe giocare la carta di Google per fare pressione sul presidente Usa).

I vertici del Big tech non commentano, ma le associazio­ni per i diritti umani sono già insorte. In un Paese dove sono bloccati Facebook, Instagram, Twitter e Wikipedia, inaccessib­ili New York Times, Wall Street Journal e Bbc, dove i 750 milioni di internauti (quanti quelli di tutta Europa) che usano il limitatiss­imo motore di ricerca Baidu non ottengono risultati per termini come «dissidenti» e «Tienanmen», la resa di un colosso occidental­e come Google appare come «un enorme colpo per la libertà d’informazio­ne — denuncia Amnesty Internatio­nal — e un giorno buio per la libertà della rete». Per Patrick Poon, ricercator­e della Ong, sarebbe «un trionfo del governo cinese e un pericoloso precedente: il segnale che nessuno proverà più a sfidare la censura». Lo fece proprio Google nel 2010, rinunciand­o a offrire Youtube, il motore di ricerca e il Play store. Il ritorno di quest’ultimo è il vero obiettivo: nel 2017 sui software concorrent­i i cinesi avrebbero scaricato applicazio­ni per 35 miliardi di dollari. Una torta a cui Google sembra non voler più rinunciare.

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