LA TENSIONE SUI PROFUGHI STA CAMBIANDO GLI ITALIANI
Siamo ancora «brava gente»? Non sarebbe male, per non incattivirci, confermare la costante combinazione fra pienezza democratica e identità di semplici uomini
La crisi immigratoria di questi ultimi anni e mesi sembra avere innescato un cambiamento profondo della nostra mentalità collettiva. Ci siamo sempre considerati «italiani brava gente», abbastanza aperti e generosi verso gli altri; ma oggi, rispetto al passato, siamo più ansiosi della nostra sicurezza e più smaniosi che essa ci venga garantita, anche a prezzo di accettare qualche veemenza umana nell’abbordaggio politico al problema.
Siamo tutti, infatti, dentro una simultanea prigionia: da un lato, di una tradizione buonista, rinfocolata costantemente da grandi e piccole autorità morali; e dall’altro, di un egoistico rifiuto di «altri da noi» e di ciò che turba il nostro vivere quotidiano. Viene facile il porsi alcune domande: ci siamo incattiviti, vittime di un soggettivismo etico che è stato definito egolatrico («prima gli italiani»)? Oppure manteniamo quel carattere bonario e accomodante che ci ha fatto compagnia per secoli? A ottanta anni dalla fine dell’avventura fascista, stiamo vivendo la tentazione muscolare di mescolare sovranismo e primato dell’identità nazionale? Oppure siamo ancora quella «società benevolente» che si legge in filigrana nella struttura dei Promessi Sposi? Se ci guardiamo allo specchio leggiamo nella nostra fisionomia tracce di pugnace altera fierezza? Oppure leggiamo ancora il mite sorriso con cui salutiamo gli amici per strada?
Per rispondere a queste domande senza scadere nell’emozione banale è utile tornare a Manzoni, che riteneva che la qualità benevola della nostra società è dovuta al fatto che essa è composta di uomini e basta, semplicemente di uomini, normali, che nel tempo hanno imparato a non cercare più alte e vibranti identità e che non si sentono guerrieri, conquistatori, uomini d’arma, condottieri, statisti, eroi civili e quant’altro. Egli, nella straordinaria linearità della sua
d
Ritorno a Manzoni La qualità benevola della nostra società è dovuta al fatto che essa è composta di persone normali, che non si sentono guerrieri
prosa, riproponeva la prosa di una società fatta di null’altro che uomini adattativi che vivono in un pacato, continuo presente. Tanto che Giulio Bollati ha ironizzato sul fatto che Manzoni ci avrebbe voluto molto simili agli svizzeri, da sempre fuori dalle tensioni del mondo.
Di fronte a questa caratteristica nazionale di essere solo «uomini» e senza superiori identità, viene naturale la domanda se essa possa bastare nella travagliata storia di oggi. Certo essa non ci è bastata nei «salti della storia», dove abbiamo dovuto far ricorso all’enfatizzazione identitaria: nel fare l’unità; nel fare quattro guerre d’indipendenza; nel darci, subito dopo, un futuro di medio potere coloniale; nel parteggiare per le ambizioni imperiali del fascismo. Ma ci è invece bastata nei periodi di sviluppo fisiologico del sistema, quando, dopo la seconda guerra mondiale, milioni di uomini hanno fatto ricostruzione di massa diffusa e qualitativa industrializzazione di massa ordinata entrata nella dinamica europea e poi nella molecolare nostra partecipazione alla globalizzazione. E
Proiezioni pericolose Le fughe in avanti verso traguardi di maggiore gloria hanno coinciso con bassi livelli di democrazia
va notato che questa dinamica spontanea della società l’abbiamo vista nascere e crescere insieme alla nascita ed alla crescita delle regole democratiche mentre le fughe in avanti verso traguardi di maggiore gloria hanno coinciso con bassi livelli di democrazia.
Non sarebbe allora male, per evitare di incattivirci, confermare la nostra storia passata e la costante combinazione fra pienezza democratica e identità di semplici uomini.