Il camionista illeso dopo il volo «Il boato, il niente sotto le ruote Vivo per miracolo»
Il racconto del conducente che portava casse di acqua minerale «La motrice è rimasta schiacciata dalle campate di cemento»
GENOVA «Un boato e sono volato via. Mi sono ritrovato giù, contro un pezzo di muro. L’urto mi ha fatto volare per dieci metri. Non ricordo altro». Cammina barcollando lungo uno degli argini del Polcevera, in via Riva di Cornigliano. Accanto a lui ci sono due poliziotti, gli stessi agenti che lo hanno scortato poco prima di nuovo davanti a quell’inferno di cemento armato e tondini di ferro che sembrano piegati come spaghetti. «Il mio camion è sepolto, non so come ho fatto a uscire vivo da lì».
L’autista ha una cinquantina d’anni, i capelli grigi, la faccia sconvolta e gli occhi persi a fissare i piedi che si muovono dentro a scarpe da lavoro gialle e nere. La camicia azzurra è annodata sul torace, una collanina d’oro al collo e un tutore blu che «contiene» una lussazione alla spalla destra e immobilizza il braccio. «Cos’ho? Non ho niente, guardate. Solo una slogatura alla spalla e una ferita all’anca — racconta con l’accento dell’est Europa —. Sono un miracolato? Che ne so, forse sì. Penso di sì, credo che sono un miracolato, non so neanche io come ho fatto a salvarmi».
Il suo camion è rimasto schiacciato dalle campate di cemento armato precipitate sul greto del torrente Polcevera. Quando ritorna sul luogo del crollo, per individuare i resti del suo mezzo ed essere ascoltato dalla polizia, i vigili del fuoco stanno estraendo i primi cadaveri dalle macerie. Un drone sorvola la zona, cerca spiragli tra la montagna di cemento, ferro e polvere che possano permettere ai soccorritori di infilarsi sotto i resti del ponte Morandi e arrivare alle vetture ancora incastrate. Dal greto due autoscale dei pompieri ispezionano una parte del pilone di levante rimasta quasi in bilico. I cani da ricerca aspettano di entrare in azione, mentre a due ore e mezza dal crollo ancora arrivano sirene da mezzo Nord Italia, per dare il cambio ai primi soccorritori, per portare strumentazioni come quelle che sono state utilizzate per il terremoto d’abruzzo.
Gli argini del Polcevera sono coperti da bottiglie d’acqua naturale «Blues» destinata a un supermercato della zona. Le trasportava un Tir bianco, che ora sembra un parallelepipedo disteso sul terreno. Parte della cabina è stata coperta da un telo. «Lo vedete da soli cosa è successo, è venuto giù tutto — racconta il trasportatore —. Io stavo andando, ho sentito un boato enorme, più di un tuono. Poi tutto ha cominciato a tremare. Ho sentito il vuoto sotto le ruote, il camion che precipitava, l’onda d’urto mi ha fatto volare fuori, a dieci metri». Il corpo finisce contro il cemento armato di uno dei piloni, che lo ha in qualche modo quasi protetto dal resto delle macerie: «Il camion non c’è più, se non fossi stato sbalzato fuori... Mi sono alzato, ero intero, sono scappato via». Il camionista è stato medicato da una delle prime ambulanze del 118, la spalla immobilizzata, poi dopo essere stato sentito dalla polizia è stato trasportato in ospedale al San Martino. La stessa struttura dove nel tardo pomeriggio viene allestita la camera ardente d’emergenza per le prime 22 vittime della strage di Ferragosto. Angelo Grattarola, coordinatore interaziendale per le emergenze, era appena rientrato a casa quando lo hanno chiamato dall’ospedale dicendo che era venuto giù un ponte. «Sono tornato, ho rimesso il camice e abbiamo iniziato. Genova sembra una città fredda, posso assicurarvi che non è così», racconta dall’ingresso del pronto soccorso. I primi feriti sono stati portati al vicino ospedale di Villa Scassi, poi al Galliera e al San Martino, diventato una sorta di hub dei soccorsi.
Lì è ricoverato anche un altro camionista, sopravvissuto al volo giù dal ponte: è in coma farmacologico, le sue condizioni sono molto gravi. «Come stanno i feriti? Non ho chiesto nulla, bastava guardare il terrore nei loro occhi».
d
Di colpo tutto ha cominciato a tremare. Ho sentito il camion che precipitava, l’onda d’urto mi ha fatto volare fuori, a dieci metri
«Solo una slogatura alla spalla e una ferita all’anca: non so come ho fatto a salvarmi»