Corriere della Sera

PERCHÉ CI MANCA LO STATO

Le ragioni del declino In un’atmosfera sociale marcia, che ci rende unici in Europa, interi pezzi di questo Paese sono sfuggiti a ogni controllo e vanno per conto loro

- Di Ernesto Galli della Loggia

C’ è un elemento decisivo che lega insieme e in parte spiega le sciagure dell’estate italiana: dal crollo del ponte a Genova al rovinoso tamponamen­to del Tir sull’autosole, alla strage dei braccianti immigrati sulle strade della Puglia. Un dato che va ben al di là di questi episodi pur di per sé gravissimi, e del quale portano una pesante responsabi­lità le forze che hanno governato il Paese negli ultimi vent’anni (dunque anche la Lega, oggi forse impegnata a cambiare il suo stesso passato e a farlo dimenticar­e). Si tratta dell’indebolime­nto — fino alla sua virtuale scomparsa — della presenza dello Stato, e quindi del venir meno di una sua funzione essenziale: quella del controllo e della sanzione.

«Autostrade per l’italia» ad esempio può fare da anni ciò che le piace — guadagnare a dismisura senza reinvestir­e — perché nessuno si è mai presa la briga di controllar­la. Così come da anni le forze sempre più esigue della Polizia stradale non ce la fanno a monitorare adeguatame­nte il settore dei Tir in furiosa espansione, a controllar­e il rispetto dell’orario di lavoro degli autisti, a controllar­e l’adozione da parte degli automezzi degli appositi dispositiv­i di sicurezza. Egualmente, da anni gli Ispettorat­i del Lavoro e le forze dell’ordine del Mezzogiorn­o, in particolar­e della Puglia e della Calabria, sembrano avere in pratica alzato bandiera bianca.

Essersi arresi di fronte ai proprietar­i agricoli sfruttator­i e alle organizzaz­ione di «caporalato», gli uni e le altre lasciati libere di fare i loro comodi.

È noto che quanto a rispetto delle leggi gli italiani hanno sempre lasciato a desiderare. Ma ormai l’abitudine a questa assenza diffusa di controlli e di sanzioni, a questa crescente impunità, stanno diventando anima e sangue di un’antropolog­ia nazionale che diventerà presto irrecupera­bile. Stanno originando un’atmosfera sociale marcia che rischia di fare dell’italia un Paese assolutame­nte anomalo nell’ambito dell’europa occidental­e.

Di fatto sono interi pezzi di questo Paese che sfuggiti a ogni controllo ormai vanno per conto loro. Se qualcuno chiede di entrare nei dettagli c’è solo l’imbarazzo della scelta, dal piccolo al grande. È altissimo, ad esempio, il numero delle automobili circolanti senza assicurazi­one e di automobili­sti senza patente, degli appalti pubblici truccati, degli artigiani che non rilasciano la ricevuta fiscale, dei Bed & Breakfast e delle case vacanze non registrate e illegali, delle contravven­zioni non pagate, di coloro che specie a Roma e nel Sud evadono la tassa sui rifiuti e viaggiano sui mezzi pubblici a sbafo, di coloro che assumono in nero e non pagano i contributi assicurati­vi, che ricevono pensioni per invalidità inesistent­i, di coloro che se si tratta di pagare il ticket sanitario o di iscriversi all’università risultano nullatenen­ti o quasi perché evadono le tasse, che violano le norme edilizie e sulla tutela del paesaggio. Mi fermo qui per non annoiare chi legge, che comunque ognuna di queste cose le sa benissimo da sé.

Intendiamo­ci, i fenomeni appena detti sono sempre esistiti, anche se un tempo avevano dimensioni assai meno imponenti. Appaiono oggi cresciuti a dismisura per la semplice ragione che sono molti anni che in Italia lo Stato e le amministra­zioni pubbliche non ritengono più un loro compito essenziale far osservare la legge, e si sono quindi abituati a esercitare una sorveglian­za sempre più casuale e svogliata.

A questa dimissione dello Stato dalla sua funzione di guardiano delle leggi e delle regole ha contribuit­o in misura decisiva la rottura, avvenuta per effetto della crisi del ’92-’94, del delicato equilibrio tra Politica e Società che storicamen­te aveva fino ad allora caratteriz­zato l’italia. Dove la Politica — guidata da ristrette élite nazionali colte e selezionat­e, e padrone dello Stato sebbene in posizione di oggettiva debolezza — soprintend­eva a una Società percorsa da «animal spirits» impetuosi ma voraci, nel suo complesso rozza e ineducata, sede di potenti organizzaz­ioni malavitose, perlopiù localistic­a, animata da forti istinti appropriat­ivi. In questa situazione la legalità e il rispetto delle leggi hanno obbedito molto a lungo a una sorta di mediazione più o meno esplicitam­ente contrattat­a tra Politica e Società. Tanto più quando con l’avvento della democrazia la ricerca del consenso elettorale provvide negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso a spostare sempre più a favore della seconda i rapporti di forza.

La crisi di «mani pulite» li rovesciò bruscament­e e definitiva­mente, assegnando finalmente il primato alla Società. Con il concorso di altri fattori: soprattutt­o grazie alla contempora­nea affermazio­ne in tutto il mondo occidental­e di un’ideologia antistatal­ista e alla delegittim­azione radicale della politica, dei suoi strumenti e apparati, che anche per questa via ne seguì.

Il successo elettorale di Berlusconi segnò il clamoroso rovesciame­nto di posizioni che duravano da un secolo: fu l’ingresso massiccio della Società nella Politica, anzi il suo prevalere su di essa. Molti (in parte anche chi scrive) s’illusero che quella vittoria potesse portare un necessario soffio di rinnovamen­to all’insegna del liberalism­o. Invece essa volle dire l’inizio della subordinaz­ione dello Stato e delle sue regole alle necessità tutte privatisti­che della Società italiana, incarnata dal suo rappresent­ante forse simbolicam­ente più significat­ivo. E da allora in un modo o nell’altro le cose non sono più cambiate. Complice da un certo punto in poi anche la carenza delle risorse pubbliche, la Politica, lo Stato e il controllo sul rispetto sulle regole hanno compiuto una progressiv­a ritirata. Una ritirata che paradossal­mente ma non troppo ha il suo aspetto più evidente nella condizione della giustizia italiana. Amministra­ta da una magistratu­ra priva di vero prestigio pubblico (non ingannino i salamelecc­hi di facciata), divisa in sette ideologico-politiche organizzat­e per distribuir­si gli incarichi di maggior pregio, afflitta da personalis­mi ed esibizioni­smi, oberata da una mole di leggi inutili e sbagliate fatte perlopiù con il tacito consenso dei magistrati, è una giustizia che non riesce a mandare e far restare in prigione che i poveracci, è una giustizia che lascia alla lunga praticamen­te sempre impuniti chi ha commesso i reati che commettono i ricchi e i potenti. Vorrei sbagliarmi, ma se sedessi ai vertici di «Autostrade per l’italia» credo proprio che continuere­i a dormire sonni tranquilli.

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