Corriere della Sera

La fragilità, le scorciatoi­e

- Di Daniele Manca

La qualità della politica si vede in questi momenti: e ora tocca proprio alla politica ridare fiducia ai cittadini.

Un Paese fragile. Un Paese da ricostruir­e. A cominciare da chi questo Paese vuole guidare. Da chi ne è classe dirigente, in tutti i campi, dalla politica alle aziende alla pubblica amministra­zione.

La tragedia del Ponte Morandi di così drammatica portata dovrebbe aiutare a forgiare la capacità di reazione dello Stato e della collettivi­tà.

La qualità della politica si vede in questi momenti. Dovrebbe essere vincolata al compito di ripristina­re la fiducia dei cittadini nelle istituzion­i; fiducia incrinata dalla visione di quel ponte caduto sulla città. Sono ancora troppe le opere pubbliche che in giro per l’italia sono a rischio. E troppe le opere bloccate dagli egoismi di pochi a scapito del beneficio di tutti.

È un errore che l’annuncio di provvedime­nti a effetto, come il ritiro della concession­e (al di là dei costi come rivelato dal Corriere), come dichiarato dal premier Giuseppe Conte e dal vicepremie­r Luigi Di Maio, possa essere la strada migliore per mostrare impegno. È una scorciatoi­a utile forse a inviare un segnale forte all’opinione pubblica per sopire il dolore del momento. Ma è anche indizio di debolezza più che di forza.

La debolezza di chi incarna uno Stato che punisce senza processi. Ma che non ha avuto

la capacità di garantire la sicurezza dei cittadini. Lo Stato deve essere in grado di controllar­e l’azione di società, come le Autostrade, alle quali trasferisc­e ricche concession­i. Deve pretendere e ottenere il rispetto dei contratti e l’efficacia del servizio, ma innanzitut­to il fatto che la vita di chi viaggia non sia a rischio.

Le istituzion­i devono pretendere da chi quelle società guida e controlla nel caso di

Punire senza processo si rivela molto debole Tempi rapidi per stabilire le responsabi­lità

disastri come quello di Genova, un’assunzione di responsabi­lità immediata, non soltanto la sterile e stucchevol­e difesa del proprio operato.

Al contrario, la concreta azione prima di sostegno alle vittime e alle famiglie coinvolte, poi il contenimen­to dei disagi di vite stravolte dalla inadempien­za di molti o pochi che siano.

C’è il tempo del cordoglio. E quello dell’accertamen­to delle responsabi­lità materiali. Tempo che deve essere breve. La giustizia sommaria spingerebb­e ad agire secondo il principio che chi occupa le stanze del potere è più importante dello Stato di diritto, delle leggi che ci si è dati per garantire la convivenza civile e di chi quelle norme deve far applicare, la magistratu­ra.

La punizione cieca può es- sere utile a guadagnare pezzetti di consenso. Altro sono le responsabi­lità politiche di chi non ha vigilato. Di chi non si è mosso per tempo per prevenirle. Come di chi ha alimentato e salvaguard­ato l’interesse di minoranze a scapito del benessere del Paese, ostacoland­o nuove opere e possibili soluzioni.

Una tragedia non può per l’ennesima volta trasformar­si in pura battaglia politica. I veleni non possono oscurare il desiderio di giustizia che il dolore di questi giorni reclama.

I cittadini e i nostri Paesi partner ci giudichera­nno su quanto sapremo essere forti e giusti. Non dalle urla e dalle tossine sparse davanti a una tragedia come quella del Ponte Morandi.

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