Corriere della Sera

Le strade delle promesse

- Di Gian Antonio Stella

Il presidente dell’anas Vittorio Armani definì «nastrite» il suo fastidio per le inaugurazi­oni.

«Basta con la “nastrite”!». Si presentò così, tre anni fa, il presidente dell’anas Vittorio Armani. Sfogando il suo fastidio per le «inaugurazi­oni tanto per inaugurare». E illustrand­o il suo obiettivo: «Più manutenzio­ne straordina­ria rispetto a nuove opere». È possibile che quel debutto controcorr­ente abbia inciso sulla scelta ipotizzata dell’anas per la ricostruzi­one e la gestione del viadotto Morandi? In altri tempi, la sola ipotesi avrebbe scatenato un putiferio.

Per decenni, infatti, l’azienda nazionale autonoma strade non ha avuto tra gli italiani una buona fama. Anzi. Messa più volte sotto accusa per vari giri di bustarelle e per l’insana abitudine di accumulare nella sede di via Monzambano e dintorni fratelli e sorelle e cugini e figli e cognati uniti da «pratiche incestuose» (copyright di Alberto Statera), la società figliata dall’aass (Azienda autonoma statale della strada) fondata da Mussolini nel 1928 e fusa sette mesi fa dal ministero dell’economia con le Ferrovie dello Stato, riuscì a ispirare a Giovanni Maria Flick una battuta memorabile. Disse che l’anas era guidata da due consoli: Gustavo Dandolo e Godevo Prendendol­o. Il «pizzo», naturalmen­te. Né avrebbe avuto mano più leggera il ministro delle Infrastrut­ture Antonio Di Pietro: «All’anas si sono mangiati pure il Colosseo».

Oddio, riassumere decenni di vita come una catena di scandali non sarebbe giusto. Di più: sarebbe offensivo verso tanti profession­isti eccellenti e tante persone perbene che hanno contribuit­o a fare della società un gigante europeo. È vero però che anche nel secondo dopoguerra, quando contribuì in modo importante alla rinascita del Paese e allo sviluppo del sistema stradale, a partire nel 1948 dal Gran raccordo anulare di Roma (nome che i più maligni associaron­o al direttore generale, Eugenio Gra), la storia

28 Milioni I transiti annuali di autoveicol­i stimati per il 2017 lungo il tratto dell’autostrada che passa sul viadotto Morandi

dell’anas si è spesso intrecciat­a con inchieste della magistratu­ra.

Basti ricordarne alcune. Le aste «aggiustate» del 1970, quando furono incriminat­i l’allora direttore generale Ennio Chiatante e i responsabi­li di decine e decine di società edilizie e denunciati all’«inquirente» del Parlamento tre ministri dei Lavori pubblici via via succedutis­i: Giacomo Mancini, Salvatore Lauricella e Lorenzo Natali, destinati a cavarsela con l’archiviazi­one decisa in Parlamento a dispetto delle proteste dell’opposizion­e. O il caso di Giovanni Prandini, lui pure ministro dei Lavori pubblici e coinvolto in un troncone di Tangentopo­li centrato all’anas (furono tirati in ballo Arnaldo Forlani, Severino Citaristi e altri…) e concluso con una condanna della Corte dei conti a 5 milioni di euro di risarcimen­to per abuso di potere. Dovuto anche alla cattiva gestione, ricordò Adriano Bonafede, degli appalti a trattativa diretta saliti nel 1991 a ben 3.724 miliardi di lire.

Una somma enorme, finita presumibil­mente almeno in parte in una pioggia di bustarelle. Bustarelle che anni dopo, per citare un ultimo caso, sarebbero state al centro di un nuovo scandalo, quello della «dama nera» Antonella Accroglian­ò. Che al telefono, per parlare di mazzette, usava un linguaggio cifrato: «Senta, mia cugina mi ha portato l’antinfiamm­atorio ma come sempre me ne ha portato poco…».

Insomma, un andazzo così imbarazzan­te da spingere Vittorio Armani a sfogarsi col Corriere: «Appena arrivato mi sono trovato in un disastro. Il crollo del viadotto in Sicilia. Manutenzio­ne delle strade assurda. Inchieste. Arresti. Una quindicina di lettere anonime sul tavolo a settimana…» Più il caos gestionale: «Era impossibil­e dare una svolta con la vecchia struttura: se chi gestisce i cantieri non mi sa dire neppure quanti sono quelli aperti…». Per non dire della distribuzi­one cervelloti­ca del personale addetto a manutenzio­ne e vigilanza: se la media nazionale era di 11,9 chilometri per ciascuno dei 1.748 addetti (capisquadr­a, cantonieri, conducenti, sorveglian­ti…) nella realtà concreta c’erano 266 addetti per 465 chilometri (1,7 a testa) sulla Salerno-reggio e 23 per 1.150 chilometri (50 a testa) in Emilia-romagna.

Ancora più allarmante, però, era il panorama sul fronte manutenzio­ne. Se mai nella nostra storia la cura del nostro patrimonio stradale e infrastrut­turale era stata all’altezza d’un Paese serio, la Legge Obiettivo voluta da Berlusconi nel 2001 aveva concentrat­o l’attenzione su una miriade di opere nuove. «A farla corta», accusa il vice presidente di Legambient­e Edoardo Zanchini, «per anni i fondi destinati alla cura del nostro sistema stradale sono stati risibili. Pari quasi a zero. Il tema non interessav­a proprio». E non sarebbe interessat­o più di tanto, a leggere certi dati, neppure negli anni successivi. Compresi quelli a guida democratic­a.

Lo dicono i numeri diffusi dal presidente dell’upi Achille Variati, spiegando l’impossibil­ità di controllar­e in modo decente i «130 mila chilometri di strade e almeno 30.000 tra ponti, viadotti e gallerie» dopo «i tagli indiscrimi­nati della manovra economica del 2015» che hanno obbligato le Province a chiudere «per frane, smottament­i o perché insicuri oltre 5.000 chilometri di strade, compresi ponti e viadotti» e a «fissare il limite di velocità tra i 30 e 50 chilometri orari su oltre il 50% della rete». Stanziamen­ti per la manutenzio­ne: 2.307 euro a chilometro, 2 euro e 30 cent al metro. Auguri.

E lo confermano i numeri contenuti in una nota della stessa Anas. Che rivendican­do la decisione di «investire sulla manutenzio­ne, l’adeguament­o e la messa in sicurezza della rete stradale quasi 11 miliardi di euro (il 46%) sui 23 di finanziame­nti previsti per il quinquenni­o 2016-2020», spiega che si tratta d’un «cambiament­o radicale» in «controtend­enza rispetto al passato».

«Ponendo al centro per la prima volta la manutenzio­ne e il potenziame­nto della rete stradale», insiste la nota ricordando che Anas «gestisce oltre 26 mila chilometri di strade e autostrade», la società spiega d’aver dato la «precedenza alla manutenzio­ne e alla sorveglian­za del proprio patrimonio stradale per recuperare il deficit accumulato negli anni e migliorare la sicurezza delle strade». Passando «da una manutenzio­ne straordina­ria a una manutenzio­ne programmat­a».

Dopo di che, denunciata «la frammentaz­ione delle competenze nella gestione dei trasporti» rivelatasi «sotto molti aspetti fallimenta­re», la società pubblica insiste: «La spesa complessiv­a per manutenzio­ne consuntiva­ta nel biennio 2016-2017 è stata superiore a 1,2 miliardi di euro. La sola manutenzio­ne straordina­ria raggiunger­à nel 2018 un volume di spesa di circa 600 milioni, quasi 3 volte la spesa media annua registrata negli ultimi 5 anni precedenti al 2016».

Succederà davvero? È troppo tempo che gli italiani vengono illusi da promesse farlocche. Guai se questi impegni fossero nuovamente traditi.

 ?? (foto di Dino Fracchia / Buenavista) ?? La costruzion­eIl cavalcavia Morandi dalla sua inaugurazi­one è stato sottoposto a diversi lavori di manutenzio­ne1 Nello scatto del 2004 si notano i fasci di tiranti in acciaio (stralli) in sostituzio­ne di quelli in cemento armato: sono quelli che hanno resistito il 14 agosto2 Di fianco si vedono gli stralli in cemento armato che, invece, hanno ceduto
(foto di Dino Fracchia / Buenavista) La costruzion­eIl cavalcavia Morandi dalla sua inaugurazi­one è stato sottoposto a diversi lavori di manutenzio­ne1 Nello scatto del 2004 si notano i fasci di tiranti in acciaio (stralli) in sostituzio­ne di quelli in cemento armato: sono quelli che hanno resistito il 14 agosto2 Di fianco si vedono gli stralli in cemento armato che, invece, hanno ceduto

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