Le strade delle promesse
Il presidente dell’anas Vittorio Armani definì «nastrite» il suo fastidio per le inaugurazioni.
«Basta con la “nastrite”!». Si presentò così, tre anni fa, il presidente dell’anas Vittorio Armani. Sfogando il suo fastidio per le «inaugurazioni tanto per inaugurare». E illustrando il suo obiettivo: «Più manutenzione straordinaria rispetto a nuove opere». È possibile che quel debutto controcorrente abbia inciso sulla scelta ipotizzata dell’anas per la ricostruzione e la gestione del viadotto Morandi? In altri tempi, la sola ipotesi avrebbe scatenato un putiferio.
Per decenni, infatti, l’azienda nazionale autonoma strade non ha avuto tra gli italiani una buona fama. Anzi. Messa più volte sotto accusa per vari giri di bustarelle e per l’insana abitudine di accumulare nella sede di via Monzambano e dintorni fratelli e sorelle e cugini e figli e cognati uniti da «pratiche incestuose» (copyright di Alberto Statera), la società figliata dall’aass (Azienda autonoma statale della strada) fondata da Mussolini nel 1928 e fusa sette mesi fa dal ministero dell’economia con le Ferrovie dello Stato, riuscì a ispirare a Giovanni Maria Flick una battuta memorabile. Disse che l’anas era guidata da due consoli: Gustavo Dandolo e Godevo Prendendolo. Il «pizzo», naturalmente. Né avrebbe avuto mano più leggera il ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro: «All’anas si sono mangiati pure il Colosseo».
Oddio, riassumere decenni di vita come una catena di scandali non sarebbe giusto. Di più: sarebbe offensivo verso tanti professionisti eccellenti e tante persone perbene che hanno contribuito a fare della società un gigante europeo. È vero però che anche nel secondo dopoguerra, quando contribuì in modo importante alla rinascita del Paese e allo sviluppo del sistema stradale, a partire nel 1948 dal Gran raccordo anulare di Roma (nome che i più maligni associarono al direttore generale, Eugenio Gra), la storia
28 Milioni I transiti annuali di autoveicoli stimati per il 2017 lungo il tratto dell’autostrada che passa sul viadotto Morandi
dell’anas si è spesso intrecciata con inchieste della magistratura.
Basti ricordarne alcune. Le aste «aggiustate» del 1970, quando furono incriminati l’allora direttore generale Ennio Chiatante e i responsabili di decine e decine di società edilizie e denunciati all’«inquirente» del Parlamento tre ministri dei Lavori pubblici via via succedutisi: Giacomo Mancini, Salvatore Lauricella e Lorenzo Natali, destinati a cavarsela con l’archiviazione decisa in Parlamento a dispetto delle proteste dell’opposizione. O il caso di Giovanni Prandini, lui pure ministro dei Lavori pubblici e coinvolto in un troncone di Tangentopoli centrato all’anas (furono tirati in ballo Arnaldo Forlani, Severino Citaristi e altri…) e concluso con una condanna della Corte dei conti a 5 milioni di euro di risarcimento per abuso di potere. Dovuto anche alla cattiva gestione, ricordò Adriano Bonafede, degli appalti a trattativa diretta saliti nel 1991 a ben 3.724 miliardi di lire.
Una somma enorme, finita presumibilmente almeno in parte in una pioggia di bustarelle. Bustarelle che anni dopo, per citare un ultimo caso, sarebbero state al centro di un nuovo scandalo, quello della «dama nera» Antonella Accroglianò. Che al telefono, per parlare di mazzette, usava un linguaggio cifrato: «Senta, mia cugina mi ha portato l’antinfiammatorio ma come sempre me ne ha portato poco…».
Insomma, un andazzo così imbarazzante da spingere Vittorio Armani a sfogarsi col Corriere: «Appena arrivato mi sono trovato in un disastro. Il crollo del viadotto in Sicilia. Manutenzione delle strade assurda. Inchieste. Arresti. Una quindicina di lettere anonime sul tavolo a settimana…» Più il caos gestionale: «Era impossibile dare una svolta con la vecchia struttura: se chi gestisce i cantieri non mi sa dire neppure quanti sono quelli aperti…». Per non dire della distribuzione cervellotica del personale addetto a manutenzione e vigilanza: se la media nazionale era di 11,9 chilometri per ciascuno dei 1.748 addetti (capisquadra, cantonieri, conducenti, sorveglianti…) nella realtà concreta c’erano 266 addetti per 465 chilometri (1,7 a testa) sulla Salerno-reggio e 23 per 1.150 chilometri (50 a testa) in Emilia-romagna.
Ancora più allarmante, però, era il panorama sul fronte manutenzione. Se mai nella nostra storia la cura del nostro patrimonio stradale e infrastrutturale era stata all’altezza d’un Paese serio, la Legge Obiettivo voluta da Berlusconi nel 2001 aveva concentrato l’attenzione su una miriade di opere nuove. «A farla corta», accusa il vice presidente di Legambiente Edoardo Zanchini, «per anni i fondi destinati alla cura del nostro sistema stradale sono stati risibili. Pari quasi a zero. Il tema non interessava proprio». E non sarebbe interessato più di tanto, a leggere certi dati, neppure negli anni successivi. Compresi quelli a guida democratica.
Lo dicono i numeri diffusi dal presidente dell’upi Achille Variati, spiegando l’impossibilità di controllare in modo decente i «130 mila chilometri di strade e almeno 30.000 tra ponti, viadotti e gallerie» dopo «i tagli indiscriminati della manovra economica del 2015» che hanno obbligato le Province a chiudere «per frane, smottamenti o perché insicuri oltre 5.000 chilometri di strade, compresi ponti e viadotti» e a «fissare il limite di velocità tra i 30 e 50 chilometri orari su oltre il 50% della rete». Stanziamenti per la manutenzione: 2.307 euro a chilometro, 2 euro e 30 cent al metro. Auguri.
E lo confermano i numeri contenuti in una nota della stessa Anas. Che rivendicando la decisione di «investire sulla manutenzione, l’adeguamento e la messa in sicurezza della rete stradale quasi 11 miliardi di euro (il 46%) sui 23 di finanziamenti previsti per il quinquennio 2016-2020», spiega che si tratta d’un «cambiamento radicale» in «controtendenza rispetto al passato».
«Ponendo al centro per la prima volta la manutenzione e il potenziamento della rete stradale», insiste la nota ricordando che Anas «gestisce oltre 26 mila chilometri di strade e autostrade», la società spiega d’aver dato la «precedenza alla manutenzione e alla sorveglianza del proprio patrimonio stradale per recuperare il deficit accumulato negli anni e migliorare la sicurezza delle strade». Passando «da una manutenzione straordinaria a una manutenzione programmata».
Dopo di che, denunciata «la frammentazione delle competenze nella gestione dei trasporti» rivelatasi «sotto molti aspetti fallimentare», la società pubblica insiste: «La spesa complessiva per manutenzione consuntivata nel biennio 2016-2017 è stata superiore a 1,2 miliardi di euro. La sola manutenzione straordinaria raggiungerà nel 2018 un volume di spesa di circa 600 milioni, quasi 3 volte la spesa media annua registrata negli ultimi 5 anni precedenti al 2016».
Succederà davvero? È troppo tempo che gli italiani vengono illusi da promesse farlocche. Guai se questi impegni fossero nuovamente traditi.