Corriere della Sera

I maltempi della Giustizia

- Di Massimo Gramellini

«Per revocare la concession­e ad Autostrade non possiamo aspettare i tempi della Giustizia». Detta da un presidente del Consiglio che è anche avvocato, la frase fa un certo effetto, per quanto appaia perfettame­nte in linea con altri tempi, quelli della comunicazi­one e della politica. La dittatura dell’istante, in cui ci ha precipitat­i l’avvento dei social, impone al governo Conte di decidere sull’onda dell’emozione. Il ponte collassato di Genova sarà presto oscurato da nuove emergenze e, prima della sentenza definitiva, chissà quante altre cose ci saranno cadute sulla testa, in questo Paese che scricchiol­a come una porta di Hitchcock.

Ma a rendere il Potere impulsivo contro natura (di solito impulsive sono le opposizion­i) è l’uso partigiano che ormai tutti fanno di categorie assolute come il garantismo e il giustizial­ismo. Il garantismo si applica ai propri cari, il giustizial­ismo ai cari degli altri. Renzi auspicò le dimissioni della Cancellier­i, ministra di Letta, sventoland­o ragioni di opportunit­à che si guardò bene dall’evocare per i ministri suoi. E Di Maio, giustament­e scandalizz­ato dai guai giudiziari degli anti-raggi, apparve più comprensiv­o con quelli della Raggi medesima. Ai Benetton, che il governo ha iscritto d’ufficio al Pd nella corrente dei miliardari senza cuore, si applica dunque lo schema giustizial­ista, con i cinquestel­le nella parte dei vendicator­i implacabil­i e i leghisti in quella di chi tratta col nemico per una più prosaica riparazion­e in denaro.

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