Quei miliardi europei per le infrastrutture che l’italia da anni fa fatica a spendere
Il nodo degli aiuti allo sviluppo (Fesr): assegnati al 70%, ma finora usati al 3%
Milioni e milioni di euro a disposizione. Da spendere per nuove strade, autostrade, linee ferroviarie, per esempio. Fondi studiati per migliorare e ammodernare ogni Paese dell’unione Europea. E anche per realizzare una grande rete di trasporti capace di collegare tutti gli Stati. E aiutare soprattutto le aree più in difficoltà. Soldi che ci sono, che sono previsti e che però vanno utilizzati, altrimenti si rischia di perderli. Basti pensare che per il periodo 20142020 l’italia ha diritto a 44,6 miliardi di fondi Ue, ma dei vari finanziamenti a disposizione finora ha speso solo piccole percentuali, con una media che raggiunge il 5%.
Qualche esempio: degli oltre 21 miliardi del Fondo per lo sviluppo regionale (Fesr), 1 miliardo e 382 milioni è per le infrastrutture (un altro miliardo è invece per i trasporti), ma nel 2017 solo il 3% è stato speso, anche se il 71% è comunque stato assegnato. La maggior parte è stato destinato alle regioni del Sud — Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia — dove, con altri fondi nazionali, viene finanziato il Programma operativo nazionale (Pon) Infrastrutture e Reti, cioè il potenziamento delle linee ferroviarie dello snodo di Palermo e Napoli, o l’adeguamento della linea tirrenica Battipagliareggio Calabria, o il potenziamento del porto di Salerno. A che punto sono i lavori? A buon punto, sembra: 57 interventi sono stati ammessi e il 79% dei progetti iniziati sono conclusi. Però solo il 7% è stato effettivamente liquidato.
Sempre per quanto riguarda il Fesr, nel 2017, degli oltre 21 miliardi a disposizione, ne è stato speso solo il 10%, la media europea è del 16%.
«Ma è proprio la natura dei fondi strutturali a renderli impossibili da spendere», interviene Nicola Rossi, economista e presidente dell’istituto Bruno Leoni: «Nel nostro Paese quelle cifre non potranno essere mai spese, è impossibile far gestire alle Regioni infrastrutture sovraregionali». La ferrovia Napoli-bari «è una questione sovranazionale, non riguarda solo Campania e Puglia e una volta che si decide di farla non può essere lasciato tutto solo alle due Regioni». Meglio, invece «decidere a livello nazionale», un sistema anche per velocizzare e riuscire a realizzare progetti di più ampio respiro. Come è
successo in Polonia, Spagna e Portogallo: «Loro — dice ancora Rossi — hanno capito come utilizzare i fondi europei e lo stanno facendo per grandi progetti che ammodernano il Paese». Nel caso italiano, invece, spesso quando si avvicina la scadenza dei temini per partecipare ai bandi e si rischia di perdere i finanziamenti ecco spuntare i cosiddetti «progetti sponda», piccole opere a livello locale tenute nel cassetto pronte a essere tirate fuori all’ultimo momento disponibile pur di ottenere qualche soldo europeo.
Ma l’europa ha bisogno di pensare in grande e per realizzare una rete transeuropea nei trasporti, nell’energia e nelle telecomunicazioni c’è il Cef, Connecting Europe Facility, che mette a disposizione 24 miliardi di euro per i trasporti favorendo investimenti per progetti a livello europeo avvalendosi anche di finanziamenti privati. Ed entro il 2030 sono previsti 750 miliardi di fondi per la Rete di trasporto transeuropea (TEN-T). Dai fondi Cef arrivano i 481 milioni per la Tav Torino-lione e i 590 per il nuovo tunnel del Brennero. Ma sono altri già finanziati, tra cui l’hub del porto di Ravenna e il «Gainn4sea» per lo sviluppo dei porti marittimi dell’europa meridionale.