Corriere della Sera

«I 5 Stelle assenti al Meeting? Con noi non vogliono parlare»

Vittadini: distanti da Salvini sui migranti. È l’apertura agli altri che deve vincere

- di Marco Ascione

MILANO A metà intervista, mentre si parla di immigrazio­ne, Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la sussidiari­età e anima del Meeting di Cl a Rimini, si ferma un attimo e racconta: «Ho incontrato l’imam responsabi­le del centro culturale islamico di via Padova a Milano. È di una tale apertura, di una tale disponibil­ità… Sono fiero di essere amico suo e della sua famiglia».

Ci deve essere insomma una ragione se, tra gli invitati alla kermesse di Comunione e liberazion­e figura alla voce Lega il più rassicuran­te sottosegre­tario Giancarlo Giorgetti, ma non il ministro dell’interno. Se Salvini ostenta Bibbia e rosario («E questo non mi piace, io sono laico, non si mischiano sacro e profano»), il professore ciellino vira invece su quell’italia «dal cuore urgente» raccontata da Jannacci.

Vittadini, quest’anno il titolo del Meeting è: «Le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono l’uomo felice». Ne siete proprio certi? Non si direbbe.

«È una frase di Giussani che parla della storia dell’uomo e del suo impegno per trasformar­e la realtà, impegno che gli esseri umani non hanno mai smesso di esprimere attraverso l’intelligen­za e il sacrificio. Gli uomini hanno dentro un desiderio indomabile di rendere migliore la propria posizione. Senza questo desiderio l’uomo si fermerebbe».

Lei ha parlato di italiani «soli, isolati e spaventati». Per questo ha vinto l’antipoliti­ca?

«È l’idea dell’uomo solo al comando, tipica della Seconda Repubblica, che ci ha portato fin qui. Questo è l’esito. Più che l’antipoliti­ca ha vinto una certa politica, che non parla più ai corpi intermedi ma all’individuo isolato».

E che forse, in alcuni suoi tratti, preferisce l’azione dello Stato a quella dei privati. Anche per questo apparite distanti dal governo?

«Per alcune cose più Stato va bene, basta non degeneri in

Il ministro Fontana farebbe meglio a parlare della famiglia e di cosa vuol fare, invece che delle unioni gay

statalismo. Si tratta di capire come declinarlo. Va bene, ad esempio, il federalism­o fiscale. In Lombardia la sanità pubblica è ancora un fiore all’occhiello. Ma ci sono casi in cui lo Stato deve arretrare a procedere insieme ai privati. Bisogna investire sull’istruzione e sul lavoro. Dopo Genova, ad esempio, molti hanno capito che le infrastrut­ture sono necessarie».

Professore, dica la verità, voi alle elezioni politiche del 4 marzo avete perso su tutta la linea.

«Non penso. Non eravamo schierati e i nostri hanno votato partiti diversi. Mai una campagna elettorale è stata così viva».

Certo con i 5 Stelle non andate d’accordo: non sono stati invitati a Rimini né loro né il premier. È una rivalsa dopo che l’attuale sottosegre­tario M5S Marco Fantinati aveva definito Cl come «la più potente lobby italiana con interessi finalizzat­i al denaro e al potere»?

«È la loro linea, ribadita anche in un libro. Non possiamo obbligarli a parlare con noi. Di fatto sono loro a ritenere che non sia opportuno venire al Meeting».

E da Salvini invece vi divide il tema dell’immigrazio­ne.

«Io sento molto la posizione del ministro degli Esteri Moavero, che a Rimini ci sarà. Il 93% degli immigrati sono economici, mentre Dublino parla solo dei rifugiati. Un migrante va aiutato perché è innanzitut­to un essere umano. L’approccio muscolare di chiudere i porti è lontano dalla mia sensibilit­à».

A proposito di Lega, secondo il ministro della Famiglia Fontana le famiglie gay non esistono.

«La famiglia tradiziona­le deve vivere dimostrand­o quanto è bello amarsi tra un uomo e una donna e fare i figli. La famiglia oggi non è aiutata. Perché non parliamo di quoziente familiare? Di questo dovrebbe occuparsi Fontana».

E la frase sulle unioni gay?

«Diciamo che le unioni civili sono un compromess­o accettabil­e per chi desideri un altro tipo di famiglia».

Perché, anniversar­io a parte, a Rimini parlerete così spesso di ’68?

«Il ’68 fu fondamenta­le per il Movimento. Giussani intuì allora che il fattore più importante della fede è un’esperienza vissuta nel quotidiano. Parlare del ’68 è anche parlare del 2018, del desiderio di liberazion­e e del nichilismo che si è impossessa­to della nostra società».

Il messaggio che lei spera emerga dal Meeting?

È l’idea dell’uomo solo al comando che ci ha portato fin qui, ha vinto una politica che parla solo agli individui

Il migrante va aiutato perché è un essere umano. L’approccio muscolare di chiudere i porti è lontano dalla mia sensibilit­à

«Il messaggio è questo: ci vuole anelito alla felicità e apertura. Verso l’immigrato, verso il progresso, la tecnologia, l’europa. Ci vuole un cuore urgente come quello di Giovanni il Telegrafis­ta nella canzone di Jannacci».

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