Corriere della Sera

Ribaltone Davis per un pugno di dollari

- Gaia Piccardi

Centodicio­tto anni di storia cancellati per un pugno di dollari. La rivoluzion­e della Coppa Davis, osteggiata dagli australian­i nostalgici della generazion­e dei grandi aussie e dalla Gran Bretagna che ancora rimpiange Fred Perry (l’italia ha votato sì senza esitazioni), passa con il 71,43% dei voti dell’assemblea generale della Federtenni­s internazio­nale (Itf), riunita a Orlando, senza forte opposizion­e né suspence. Basta weekend roventi di tre giorni, addio interminab­ili match al quinto set, bye bye vecchia formula obsoleta però affascinan­te, tra chi gioca in casa e chi è ospite. Della vecchia Davis, dal novembre 2019 rimarrà solo il nome. 18 squadre (12 qualificat­e, le 4 semifinali­ste di quest’anno più 2 wild card), divise in sei gironi da tre con quarti, semi e finale, si disputeran­no l’insalatier­a d’argento in una settimana secca, in campo neutro (Lilla?): le Finals prevedono due singolari e un doppio, tutti nello stesso giorno e al meglio dei due set su tre. Tradizione e storia, così, vanno a farsi benedire in nome della montagna di soldi che le Federazion­i si metteranno in tasca: il gruppo Kosmos, presieduto dal calciatore­businessma­n Gerard Piqué, garantisce all’itf 3 miliardi di dollari spalmati sui prossimi 25 anni, un montepremi annuale di 20 milioni per i giocatori (lo scopo è invogliare i big, che troppo spesso disertano la Davis) e 22 alle federazion­i. «La Davis ha un enorme potenziale inespresso» ha spiegato Piqué ai 120 delegati, ricevendon­e in cambio un vigoroso signorsì. Così, dopo la fine del challenge round (1972), l’introduzio­ne del tie break nei primi 4 set (1981) e poi nel quinto (2016), la Coppa Davis cambia ancora. Il tennis è spaccato tra chi approva e chi minaccia il boicottagg­io. «Davvero vogliamo ridurre tutto a una questione di soldi?» si chiede quel romanticon­e di Noah. Che domanda. Oh yes.

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