Le trappole della concessione Ecco la delega in bianco ai gestori
Il nodo è uno solo. L’articolo 7 della Convenzione che nel 2007 Pietro Ciucci, all’epoca a capo dell’anas, firmò con la controparte: Giovanni Castellucci, numero uno di Autostrade per l’italia. «Il concedente (ora il dicastero dei Trasporti, dopo il passaggio dell’attività ispettiva dall’anas al ministero deciso con una legge del 2011, ndr) richiede informazioni ed effettua controlli, con poteri di ispezione». È un articolo-chiave perché, ma è materia per gli avvocati, potrebbe configurare l’omesso controllo da parte del ministero nel crollo del ponte Morandi a Genova. L’allegato F della convenzione chiarisce che il concessionario si occupa delle «manutenzioni ordinarie» e del «miglioramento dell’infrastruttura»: «Riparazione o sostituzione giunti, ripristini e protezioni anticorrosive dei calcestruzzi», due delle voci esplicitate a contratto su cui il ministero dei Trasporti avrebbe dovuto vigilare.
Per capire perché lo Stato ha finito per abdicare alla sua funzione di controllo conviene partire da un’audizione del 7 settembre 2016. «Devo dirlo a malincuore: i collaboratori che si recano in missione per svolgere i sopralluoghi devono anticipare le spese. Ciò crea grossi problemi. Siamo passati da 1.400 ispezioni all’anno del 2011 alle 850 del 2015». A parlare è l’architetto Mauro Coletta, il potentissimo direttore generale per la vigilanza sulla concessioni autostradali. Coletta, ora passato alla vigilanza dei porti, in Commissione ambiente alla Camera traccia un quadro preoccupante. Funzionari senza assistenza legale. Chiamati a confrontarsi con «fior di avvocati» sugli investimenti promessi dalle concessionarie. A conti fatti, è un manifesto di impotenza. Un sistema in cui lo Stato osserva distrattamente il funzionamento della rete autostradale concedendo una delega in bianco ai gestori.
Quando l’iri nel ‘99 cede il 30% di Autostrade a un gruppo di soci privati tra cui la famiglia Benetton e colloca il restante 56% sul mercato, ne ricava un assegno di circa sei miliardi. La decisione è del governo D’alema, ma il piano comincia a prender forma cinque anni prima con Ciampi a Palazzo Chigi e Romano Prodi al timone dell’iri. Proprio Prodi, ha detto ieri l’ex premier a Repubblica, chiese un decreto legge per fissarne i paletti, con norme sulla concorrenza e condizioni di trasparenza. Quel decreto non vide mai la luce, forse anche per l’opposizione dell’attuale ministro Paolo Savona che nel governo Ciampi guidava il dicastero dell’industria.
La trasparenza, per la verità, in questi ultimi vent’anni è stata la grande sconfitta. Basti pensare al segreto di Stato che ancora oggi copre i piani economico-finanziari presentati dalle concessionarie al ministero dei Trasporti. Documenti in cui le società, come quelle riconducibili al gruppo Gavio, riportano il livello di investimenti e le spese per le opere di manutenzione. L’opacità viene confermata da Paolo Sestito, capo del servizio struttura economica della Banca d’italia, che in audizione alla Camera confessa che «ogni riduzione dei costi che il concessionario riesce a ottenere, nel periodo di determinazione delle tariffe, rimane nella sua disponibilità». Cioè meno spende in gestione della tratta più guadagna, senza che lo Stato possa far nulla per evitarlo.