Corriere della Sera

La culla dei poeti del Novecento

- di Emanuele Trevi

Tutti sanno che sarebbe difficile anche solo immaginare la storia della canzone italiana senza Genova; forse è meno noto che altrettant­o si può affermare della grande poesia lirica del Novecento italiano. A pensarci bene, a nessun altro luogo d’italia si addice meglio che a Genova l’epiteto di «città dei poeti».

Da Dino Campana a Edoardo Sanguineti i colori, gli scorci vertiginos­i, i capricci atmosferic­i della capitale ligure hanno suscitato un’autentica, impareggia­bile topografia spirituale in versi, rendendo familiare la città anche a chi non ci ha mai messo piede. È come se, in qualche modo, i grandi poeti del Novecento avessero ereditato la città da Friedrich Nietzsche, che affittò una casa in Salita delle Battistine e quando viveva a Genova sentiva la volontà dilatarsi, e il coraggio di essere se stesso rafforzars­i. Se è lecito immaginare una cosa del genere, il filosofo tedesco avrebbe amato lo struggente «mottetto» di Montale, scritto nel 1934 e ambientato nell’«oscura primavera di Sottoripa»: una zona di portici vicino al mare. Nella poesia di Montale ci sono due endecasill­abi perfetti, che scolpiscon­o la visione del porto direttamen­te nell’eternità: «paese di ferrame e alberature/a selva nella polvere del vespro». Ma mette ugualmente i brividi, a rileggerlo oggi, lo Stornello di Giorgio Caproni. Perché il poeta, guardando le case di ardesia di Genova, sospese nella «brezza salina», non si limita ad ammirare, ma impara: come da una sorella maggiore, da un’amica fidata. Che insegna, guarda caso, «la fermezza».

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