UN SISMA ROVINÒ I PIANI DI TRAIANO
Il saggio di Livia Capponi
Nella storia dei rapporti tra Roma e il popolo ebraico, in genere si ricordano due date come le più drammatiche: quella del 70 d.c., quando durante l’assedio di Gerusalemme venne distrutto il Tempio e poi il 135, quando Adriano represse l’insurrezione di Bar Kochba, rifondò Gerusalemme con il nome di Aelia Capitolina ed espulse tutti gli ebrei dalla Palestina. Meno note sono le turbolenze che si svilupparono tra il 115 e il 117, nel delicato passaggio tra gli ultimi anni del regno di Traiano e l’accesso al trono di Adriano. Le poche e contraddittorie fonti disponibili a questo riguardo non aiutano a fare chiarezza, né sull’esatto svolgimento dei fatti, né sulle loro cause. Ci prova ora Livia Capponi, con una breve, ma efficace e innovativa rilettura delle fonti antiche e della storiografia più recente, nel libro Il mistero del Tempio (Salerno, pagine 144, 14,50).
Va anzitutto tenuto presente come in tutto l’intervallo di tempo che va dal 70 al 135, la politica verso il popolo di Israele abbia sempre rappresentato un problema per il potere romano, che voleva soprattutto garantirsi le spalle nelle ricorrenti campagne mediorientali contro i Parti, data la diffusione delle influenti e numerose comunità ebraiche della diaspora diffuse in tutta l’area. Per raggiungere questo scopo, in vista della spedizione partica intrapresa nel 115 e coronata da un provvisorio successo nei primi mesi dell’anno successivo, Traiano avrebbe fatto balenare l’intenzione di favorire la ricostruzione del Tempio a Gerusalemme e il conseguente, possibile ritorno degli Ebrei nella madrepatria, individuando in alcuni suoi collaboratori gli agenti che avrebbero dovuto reperire le fonti finanziarie e gestire il trasferimento degli esuli.
La politica traianea di favore verso gli Ebrei, però, dovette scontentare le altre popolazioni, specie quelle dei territori del loro insediamento, dove si erano più volte accesi violenti conflitti con gli autoctoni, culminati spesso in veri e propri pogrom. Una situazione del genere si venne così a creare ad Alessandria d’egitto, principale e irrequieta metropoli del Mediterraneo orientale, dove le fonti accennano a uno scontro tra Ebrei e «Greci», ovvero la classe dominante discendente dai conquistatori macedoni. Solo il pronto intervento delle legioni romane di stanza nella zona avrebbe impedito che la situazione degenerasse.
L’avvenimento innescò la rivolta di altre comunità ebraiche, dapprima in Cirenaica, poi nelle altre regioni dell’egitto e a Cipro, fino a estendersi nel corso del 116 alle città della Mesopotamia appena conquistate da Traiano nel corso della campagna partica, che risultò così inefficace, nonostante i successi conseguiti. Forse, il sommovimento venne favorito dal violento terremoto che alla fine del 115 colpì Antiochia di Siria nel momento in cui vi risiedeva Traiano, fortunosamente scampato alla morte. Le tendenze apocalittiche presenti nella cultura ebraica del tempo, di cui vi è traccia anche nel Nuovo Testamento, avrebbero interpretato l’avvenimento come un segno dell’approssimarsi dei tempi finali, quando, appunto, sarebbe stato ristabilito il regno di Davide e riedificato il Tempio a Gerusalemme.
A questo punto, l’iniziale favore di Traiano si trasformò in repressione. Dopo la sua morte, Adriano rilanciò la politica filoebraica. Anch’egli, però, negli ultimi anni del suo regno, dovette reprimere nel sangue la rivolta capeggiata da Bar Kochba in Palestina. Passeranno quasi duemila anni, prima che vi possa ricomparire una presenza statuale ebraica.