Corriere della Sera

All’italia che non sa più vincere serve un manager illuminato

Baronie, liti, tagli alla preparazio­ne: l’europeo ha messo a nudo i mali endemici

- Marco Bonarrigo Gaia Piccardi

L’atletica italiana uscita dall’europeo di Berlino — deludente, non al passo con il continente, men che meno con il mondo (i crono dei 4 bronzi azzurri sono molto lontani dal vertice delle liste stagionali) — in fondo non era tutta da buttare. Filippo Tortu 5° nei 100 a 20 anni con due peccati di gioventù che non commetterà più (rialzarsi prima dell’arrivo e la parolaccia in diretta: la ramanzina di papà Salvino gli rimbomba ancora nelle orecchie), Fausto Desalu 6° in 20”13 nei 200, con l’obiettivo di scendere sotto i 20” nel 2019, quando avrà 25 anni.

Eppure, con il masochismo che le è proprio, l’atletica italiana è riuscita a mandare tutto a catafascio: le scomposte dimissioni a mezzo stampa del d.t. dei giovani Stefano Baldini, l’unico che non aveva subito critiche, sono state seguite dal gioco dei quattro cantoni sui giornali. Il presidente Giomi che risponde a Baldini, Tortu senior all’ex sprinter Tilli, e via dicendo. Liti di condominio. Si brancola nel caos mentre il mondo, a 13 mesi dal Mondiale di Doha e a 703 giorni dai Giochi di Tokyo 2020, continua a correre, lanciare e saltare.

Perché, prigionier­a dei suoi mali endemici, dei blocchi di vecchi poteri e dell’invadenza dei corpi militari l’atletica non riesce a decollare? Incassando 11 milioni di euro l’anno dal Coni, la Fidal è (con la Federnuoto) la Federazion­e italiana più ricca nel campo degli sport individual­i e la terza in assoluto dopo calcio e volley. Il ciclismo riceve 3 milioni in meno di fondi pubblici, il tennis 4, la ginnastica 6. Il valore totale della produzione a bilancio (22 milioni di euro) è sovrapponi­bile a quello della Federazion­e britannica ma i risultati agonistici sono molto diversi: all’europeo gli inglesi hanno dominato (18 medaglie, 7 d’oro), mentre gli azzurri sono risaliti al 16° posto solo grazie al lifting dei trofei della maratona a squadre.

Il paragone con nuoto e ciclismo è stato imbarazzan­te e non mancano i problemi economici. A gennaio i revisori dei conti federali hanno invitato la Fidal a operare «tagli tecnici» al bilancio preventivo 2018 in seguito alla «mancata capienza delle entrate federali». Non potendo ridurre i costi del personale (saliti del 9% per gli 80 dipendenti in organico, quasi tutti impiegati), sono stati tagliati fondi a settori strategici come preparazio­ne di alto livello (-9%), formazione, ricerca e documentaz­ione (-42%), promozione sportiva (-48%), contributi per l’attività sportiva (-21%) e gestione degli impianti (-24%). Al contrario di British Athletics (dove stipendi e premi di ogni dirigente sono dettagliat­i alla sterlina), la Fidal non evidenzia chi viene pagato e quanto e per fare cosa: non si conoscono i salari dei dirigenti, i compensi dei commissari tecnici, quelli del collaborat­ori e dei tanti «consulenti e ambasciato­ri». I dirigenti di base chiedono da anni, ad esempio, di conoscere mansioni e retribuzio­ne di Dino Ponchio, ex c.t. federale ora onnipotent­e capo di gabinetto del presidente Giomi: domanda inevasa. I tecnici cui sono affidati sul territorio gli atleti di alto livello lamentano compensi da fame: tra i 7.500 e i 10 mila euro lordi l’anno. Per allenare uno dei 40/50 atleti di alto livello anche i coach più bravi a volte devono combattere contro il potere di «baroni» sulla breccia da decenni: dopo il disastroso Mondiale di Londra 2017 (un bronzo a bilancio), alcuni coach avvicinati da atleti in crisi tecnica sono stati invitati (eufemismo) via mail o sms a occuparsi d’altro dal barone di turno, che a volte subappalta i suoi «assistiti» non potendo seguirli tutti di persona. Impensabil­e parlare di profession­ismo a queste condizioni.

Con una serie di ormai annosi casi da risolvere sul tavolo (Alessia Trost in piena involuzion­e tecnica, Eleonora Giorgi reduce dall’ennesima squalifica: a proposito, evocato da Locatelli nella penosa conferenza stampa a chiosa dell’europeo, Sandro Damilano fa sapere che non vuole e non può allenare la primatista italiana della marcia: ha rinnovato in esclusiva con la Cina anche perché nessun federale nel frattempo si è fatto vivo...), ai primi di settembre il consiglio Fidal convocato d’urgenza dovrà prendere decisioni destinate a garantire una (almeno) dignitosa figura all’italia a Mondiale e Olimpiade. Benché furioso, Giomi chiederà a Baldini di ritirare le dimissioni e si discuterà lo scenario di una direzione tecnica senza Locatelli, uomo di indubbie competenze però zavorrato dagli errori mortali di Berlino: la medaglia della 4x400 all black donne buttata via, la modestia della 4x400 uomini (che avrebbe almeno potuto riscrivere un record italiano vecchio di 32 anni), il flop della 4x100 squalifica­ta.

Riesumare soluzioni già sperimenta­te sarebbe una sconfitta. Meglio rischiare. «Ci serve una figura da fuori, uno come Berruto» diceva Giomi nel 2016 dopo gli zero tituli di Rio. Un manager terzo, ecco, slegato da meccanismi incrostati e stantii. Peggio di così non può andare.

 ??  ?? Luci e ombre a Berlino Filippo Tortu, a sinistra, 5° all’europeo in 10”08 (personale di 9”99) e la staffetta 4x400 (Lukudo, Chigbolu, Grenot, Folorunso) che doveva salire sul podio e invece ha buttato via la medaglia arrivando sesta (Afp, Ansa)
Luci e ombre a Berlino Filippo Tortu, a sinistra, 5° all’europeo in 10”08 (personale di 9”99) e la staffetta 4x400 (Lukudo, Chigbolu, Grenot, Folorunso) che doveva salire sul podio e invece ha buttato via la medaglia arrivando sesta (Afp, Ansa)
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