Trump, scontro totale con il suo ministro
Il presidente all’assalto di Sessions (Giustizia). E sull’ipotesi impeachment: «I mercati crollerebbero»
NEW YORK Dopo la condanna di Paul Manafort e le confessioni sotto giuramento del suo ex avvocato, Michael Cohen, Trump, sentendo il fiato sul collo dell’inchiesta del superprocuratore Bob Mueller, lancia una sventagliata di accuse contro il ministero della Giustizia, l’fbi e la magistratura che, secondo lui, estorce confessioni minacciando gli imputati di condannarli a pene pesanti o promette clemenza.
Così facendo, però, entra di nuovo in rotta di collisione col suo ministro della Giustizia. Accusato da Trump nell’intervista alla Fox si essere un uomo di scarsa tempra che non è mai riuscito a prendere il controllo del suo dicastero, Jeff Sessions ha replicato pubblicamente con molta durezza al suo presidente poco prima di incontrarlo alla Casa Bianca in un vertice sulla riforma carceraria fissato da tempo. L’ex senatore repubblicano ha usato lo stesso megafono di Trump, Twitter, per sostenere di avere il pieno controllo della Giustizia fin dal momento in cui ha giurato, per affermare che i suoi rami investigativi e giudiziari (quindi Fbi e magistrati) sono i migliori del mondo e assicurare che la sua struttura respingerà ogni pressione indebita. Insomma, non è in balìa dei democratici come sostiene Trump, ma non cederà nemmeno al presidente. Che potrebbe cacciarlo, ma farebbe infuriare i repubblicani al Congresso e si ritroverebbe come ministro pro-tempore il vice di Sessions, l’odiato Rosenstein.
Intanto sul fronte giudiziario per Trump piove sul bagnato: è infatti emerso che i magistrati hanno concesso l’immunità, in cambio della piena collaborazione, all’editore del National Enquirer, David Pecker: un grande amico del presidente che, però, è implicato nel caso del pagamento delle donne con le quali Trump ha avuto rapporti extraconiugali. Il suo giornale sapeva del denaro dato a una pornostar e a una modella di Playboy per farle tacere, aveva anche i relativi documenti, ma fu convinto da Cohen a non pubblicarli.
Ora Pecker collabora con la Giustizia. Trump è furioso: sostiene che gli imputati vengono spinti a confessare con minacce o promesse e che questo è illegale, anche se si tratta di un modo consolidato di condurre le indagini, e non solo negli Usa: «C’è gente che dovrebbe prendere dieci anni mentre, dopo aver confessato, diventa un eroe nazionale», si lamenta Trump. E ieri il presidente ha provato a uscire dall’assedio a cui è sottoposto spiegando che in caso di impeachment i mercati crollerebbero e tutti diventerebbero molto più poveri.
Ma intanto aumenta il numero dei suoi fedelissimi che diventano collaboratori di giustizia. Sui motivi della defezione per lui più grave, quella di Michael Cohen, ieri sono emersi elementi nuovi. L’avvocato di Trump lo ha abbandonato sotto la pressione del vecchio padre, Maurice («non sono sopravvissuto all’olocausto per avere il mio nome insozzato da Trump») e per tenere al riparo almeno sua moglie che rischiava di essere incriminata per i reati fiscali, visto che i due fanno una dichiarazione dei redditi congiunta.