I 105 anni intrepidi di Boris Pahor
Lo scrittore triestino di lingua slovena, scampato ai lager nazisti, lavora ancora
Oggi fanno 105. Boris Pahor attraversa il tempo con intatta curiosità, spirito critico, voglia di continuare a scrivere. A polemizzare. A testimoniare. La vista da un occhio l’ha quasi abbandonato, ma lui — assurto agli onori della grande letteratura con Necropoli (dall’esperienza nei lager nazisti), tradotto in varie lingue e in Italia da Fazi — nella casa affacciata sul Golfo di Trieste continua a battere sui tasti della vecchia portatile. L’avevamo incontrato pochi mesi fa e quindi sentito in occasione delle elezioni regionali del Friuli Venezia Giulia, candidato nella formazione slovena alleata con il Pd. Disse che, all’occorrenza, avrebbe partecipato volentieri agli incontri pubblici con gli elettori.
È nato nel 1913 Pahor, quando Trieste era un porto dell’impero austro-ungarico. Identità slovena, rivendicata denunciando, prima degli orrori del nazismo, le repressioni fasciste che nel capoluogo giuliano cominciarono presto. A 7 anni Boris assistette all’incendio del Narodni Dom, casa della cultura slovena. Episodio ricorrente nei suoi racconti e romanzi. Scritti in lingua slovena anche se Pahor, laureatosi all’università di Padova, per un periodo fu insegnante di Letteratura Italiana.
Il calvario comincia dopo l’8 settembre con il suo arresto da parte dei nazisti. Spostato da un lager all’altro (in Germania e in Francia), ne esce vivo. L’attività letteraria e l’impegno civile si intensificano; Pahor diventa punto di riferimento delle nuove generazioni della letteratura slovena. Il grande vecchio che ama dialogare coi giovani, è stato più volte candidato al Nobel.