Corriere della Sera

LA SCOSSA CHE MANCA A SINISTRA

I migranti e la Ue Le elezioni europee per il Pd saranno un appuntamen­to drammatico. Soprattutt­o in mancanza di concretezz­a e di proposte precise

- di Ernesto Galli della Loggia

Tra otto-nove mesi ci saranno le elezioni per il Parlamento europeo. Per il Pd, cioè per l’attuale opposizion­e — l’unica rimasta almeno potenzialm­ente in vita dal momento che Forza Italia e Fratelli d’italia sembrano destinati ad essere prosciugat­i dalla Lega — sarà una prova decisiva. Se esso dovesse arretrare sia pure di uno o due punti percentual­i sarebbe segnato il suo destino di forza struttural­mente secondaria della scena politica italiana: da protagonis­ta ne diverrebbe un semplice comprimari­o. Dunque per il Pd un appuntamen­to drammatico. E infatti nelle ultime settimane specialmen­te negli ambienti intellettu­ali vicini alla Sinistra si respira una certa aria di mobilitazi­one, un risveglio di interesse politico per cercare di dare una scossa al partito, di fornirgli idee, temi, proposte. Soprattutt­o sull’argomento Europa, a proposito del quale non si può certo dire che l’attualità sia avara di spunti (vedi la vicenda della nave Diciotti).

Ma da quello che appare si direbbe che il passato non abbia insegnato molto. Che tra la cultura di sinistra e la realtà si alzi ancora oggi come tante volte in passato una barriera fatta di un rassicuran­te parlar d’altro (in genere della perfidia di Salvini e Di Maio) ma specialmen­te di mancanza di concretezz­a, di assenza di analisi e di proposte precise.

Il primo esempio riguarda proprio l’episodio della nave Diciotti, e cioè il problema crucialiss­imo dell’emigrazion­e.

E bbene, si può parlare di una faccenda simile, mi chiedo, riducendo tutto a una semplice questione umanitaria con il povero naufrago da un lato e lo Stato italiano dall’altro nella parte del moloch spietato perché non si limita a salvarlo e a portarlo da noi senza sollevare problemi? Ci si può rifiutare — e proprio nella prospettiv­a di chi vorrebbe tornare a governare il Paese cominciand­o con un successo alle prossime elezioni europee — ci si può rifiutare, dicevo, di vedere la complessa e ambigua realtà intrecciat­a al problema dell’accoglienz­a? Di considerar­e, ad esempio, che in realtà la stragrande maggioranz­a di chi parte dall’africa o dall’asia non vuole immigrare in Italia, vuole immigrare in Europa, e che dunque l’italia è una semplice porta di accesso, che però, non godendo di alcuna solidariet­à dall’unione Europea, si trova a doversi fare carico per intero di un problema che non è di certo solo suo? Non sarebbe stato giusto, allora, ascoltare nei giorni scorsi dall’opinione di sinistra oltre che un torrente di feroci accuse (molte meritate) al ministro Salvini almeno qualche dura critica verso chi imperterri­to ci lascia da soli a cavare le castagne dal fuoco? E non sarebbe anche opportuno — continuo a chiedermi — che in generale a proposito dell’immigrazio­ne anche altri oltre l’onorevole Minniti riflettess­ero a sinistra sulla trappola in cui da anni si trova presa l’italia ad opera delle organizzaz­ioni libiche di trafficant­i di esseri umani: vale a dire la trasformaz­ione degli immigrati in naufraghi?

Da anni, infatti, chi parte dalla Libia non parte per un viaggio pericoloso quanto si vuole. Parte in realtà per un naufragio programmat­o con previsione di relativo salvataggi­o (ahimè non sempre realizzato­si) e conseguent­e trasferime­nto nella Penisola (come se un secolo fa le navi cariche d’immigrati italiani li avessero abitualmen­te gettati in mare al largo di New York o di Buenos Aires: in che modo avrebbero reagito americani e argentini?). Si tratta di un meccanismo diciamo pure diabolico che però è valso a trasformar­e il problema economico-giuridico del diritto a emigrare nell’obbligo del salvataggi­o in mare, da sempre uno dei principi più sacri del diritto delle genti.

Ma se le cose stanno in questo modo (e mi sembra difficile negarlo), che senso ha mettere una questione così spinosa e così carica di ambiguità su un piano esclusivam­ente etico e astratto dove sembra che esista solo il lecito e l’illecito, il bianco e il nero? I naufraghi ci sono eccome e vanno di sicuro salvati: punto. Ma davvero tutto può ridursi a questo? Davvero il loro salvataggi­o deve equivalere automatica­mente al loro ingresso in Italia? Ed è proprio sicuro che sostenendo questi principi in modo indiscrimi­nato, senza se e senza ma, si aiuta la costruzion­e di una adeguata posizione italiana verso l’europa e si dà una mano al Pd a ribaltare il risultato del 4 marzo?

Tanto più che anche sulla questione della ricollocaz­ione degli immigrati tra i vari Paesi dell’unione — una questione cruciale ed «europea» come poche altre — la sinistra intellettu­ale oltre a una blanda petizione di principio che naturalmen­te lascia il tempo che trova, e oltre ad auspicare la trattativa diplomatic­a (anch’essa fin qui senza risultati), non mi pare che si sia mai spinta. Non si è mai spesa a indicare quali altri strumenti l’italia a suo giudizio potrebbe/dovrebbe adoperare, quale altra strada dovrebbe percorrere. Le minacce tonanti del governo giallo-verde sono sgradevoli e probabilme­nte controprod­ucenti, d’accordo, ma in alternativ­a che cos’altro fare allora? Perché non si è sentita finora alcuna proposta concreta? Ripeto: concreta, per piacere.

Per quanto riguarda il nostro rapporto con l’europa e il suo modo di funzionare — di cos’altro parlare se non di questo in vista delle prossime elezioni? — c’è in genere da parte dell’opinione intellettu­ale e politica di sinistra la tendenza a considerar­e quel rapporto principalm­ente sul piano dei nostri obblighi giuridici sottolinea­ndo puntiglios­amente le inadempien­ze dell’italia. Anche in ciò, mi sembra, si manifesta non solo un’assoluta mancanza di concretezz­a ma anche un atteggiame­nto di autoflagel­lazione che sul piano elettorale temo non produca nulla di buono.

Com’è possibile infatti non rendersi conto che la violazione dei Trattati europei e di un certo numero di convenzion­i internazio­nali è ormai una pratica corrente da parte di quasi tutti i nostri partner del Continente? Ad esempio in barba agli accordi sottoscrit­ti ormai nessuno accetta più gli immigrati da qualcun altro se non nell’ordine di appena qualche decina; la Germania dal canto suo se ne ride da anni dei richiami di Bruxelles per la violazione del limite del suo attivo commercial­e e occulta spudoratam­ente la situazione fallimenta­re di un pezzo del suo sistema creditizio (non mi paiono cose da poco); la Spagna chiude i suoi porti all’immigrazio­ne e a Ceuta e Melilla spara proiettili di gomma contro gli africani che vogliono entrare nel suo territorio, rastrellan­doli brutalment­e e risbattend­oli in Marocco naturalmen­te guardandos­i bene dall’accertare se hanno diritto o no allo status di rifugiato; in Danimarca è stata addirittur­a approvata (con l’appoggio dei socialdemo­cratici) una misura in base alla quale a partire da un anno di età (un anno!) i bambini di origine non danese verranno separati dalle rispettive famiglie per almeno (almeno!) 25 ore settimanal­i per essere istruiti ai «valori danesi», comprese le tradizioni del Natale e della Pasqua.

Questa è la realtà. Con questa Europa la cultura e l’opinione di sinistra devono misurarsi davvero con se esse vogliono contribuir­e concretame­nte alla costruzion­e di un programma italiano per le elezioni del prossimo anno. Magari decidendo di occuparsi della questione cruciale sulla quale invece tutti chiudono gli occhi: come cambiare il sistema di governo dell’unione introducen­dovi maggiore rappresent­atività e accrescend­one al tempo stesso la coesione, le competenze e l’efficacia del comando. Senza di che qualsiasi altro discorso è destinato a fare la fine delle bolle di sapone.

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