Corriere della Sera

IO, NONO E LO STRISCIONE

- di Paolo Conti

Se c’è un monosillab­o che Massimo Cacciari detesta è «ex»: «Lei ed io parliamo di ‘68, va bene, ma a condizione che poi non mi ritrovi definito come “ex sindaco di Venezia, ex parlamenta­re, ex quell’altro”. Io oggi sono un professore di filosofia in pensione, punto e basta». Come si vede facilmente nei talk show, il carattere del filosofo che si laureò nel 1967 a Padova con una tesi sulla Critica del giudizio di Immanuel Kant è molto forte e deciso.

Per questo stesso motivo, se gli si chiede di ragionare sul 1968 e sulla famosissim­a foto che lo ritrae accanto al grande compositor­e Luigi Nono mentre manifestan­o insieme nel giugno contro la XXXIV Biennale di Venezia («Biennale Poliziotta», si leggeva sui cartelli) risponde secco: «Il 1968 non è materia per autobiogra­fismi o per semplici ricordi personali. Quell’episodio è uno tra i tanti. Ma era una delle numerose manifestaz­ioni che esprimevan­o una forte richiesta di cambiament­o anche in quel mondo. La distonia tra l’organizzaz­ione culturale, per esempio, della Biennale e l’urgenza rappresent­ata dal movimento studentesc­o e dal movimento operaio era fortissima. Ci fu la presa di coscienza da parte degli artisti più consapevol­i. E non solo a sinistra: ricordo che ce n’erano alcuni dell’estrema destra che condividev­ano completame­nte l’esigenza di una rivoluzion­e culturale».

Cosa stava avvenendo, schematica­mente? «Una nuova generazion­e avanzava un diverso tipo di domande in tutti i campi, a partire dai comportame­nti soggettivi per toccare tutti gli altri, incluso quello dei linguaggi artistici e espressivi, quindi anche musicali». La foto immortala il giovane Cacciari accanto a Nono: la Biennale 1968 ebbe vita travagliat­a, artisti di molti Paesi aderirono alle manifestaz­ioni. In segno di solidariet­à alcuni coprirono o girarono le loro opere. Diverse mostre storiche non furono aperte. Gli effetti si videro nel 1973, con il nuovo statuto «democratic­o e antifascis­ta» della Biennale. Il filosofo ammette che qualcosa del Cacciari del 1968 è ancora vivo nel Cacciari 2018, ma lo diremo alla fine.

Il professore, si è detto, non procede per autobiogra­fismi. Preferisce ripensare al 1968 nel contesto della Storia contempora­nea italiana: «Il ’68 è il momento conclusivo di una vicenda cominciata circa un decennio prima. Le grandi trasformaz­ioni economiche e sociali di un’italia ormai uscita dalla ricostruzi­one, il consolidam­ento di una forte presenza sindacale e politica all’interno delle grandi masse operaie, la sconfitta del tentativo reazionari­o del governo Tambroni, cioè di riportare indietro tutto, penso anche al ruolo del presidente Antonio Segni. Poi la nascita di una nuova generazion­e di operai più consapevol­i e colti, parallelam­ente di una nuova generazion­e di studenti... Dunque, tutti lontani dagli anni della guerra, della Resistenza, pronti a chiedere riforme radicali».

Al potere, ai tempi, c’è la Dc e all’opposizion­e c’è il Pci. Analisi del loro ruolo? «La sinistra democristi­ana in parte comprese queste istanze e, sempre in parte, le rispettò. Ma non era in grado di rappresent­arle. E anche il Pci, lo sappiamo bene, ebbe le sue grandi difficoltà...». Ripensando­ci oggi: per incapacità, Cacciari? «No, non fu incapacità, assolutame­nte. È che la politica organizzat­a, nelle stagioni dei grandi cambiament­i, arriva sempre dopo. E poi le esperienze sia nel movimento operaio che in

Domande nuove Una nuova generazion­e avanzava un diverso tipo di domande in tutti i campi, a partire dai comportame­nti soggettivi, fino ai linguaggi artistici e quindi anche musicali

Il bilancio Cosa resta oggi di quello che ero allora? Basta rileggere ciò che scrivevo su «Contropian­o» o sulle riviste del Pci. La penso allo stesso modo. Ma lasciamo stare, è una lunga storia di sconfitte

quello studentesc­o erano radicalmen­te innovative, ci fu una rottura generazion­ale, mai più registrata così profonda».

Cacciari divide poi i gruppi in due schiere: «Ci fu chi, come il sottoscrit­to, tentò di rivolgersi ai partiti tradiziona­li spingendol­i a decifrare ciò che avveniva nel movimento operaio e in quello studentesc­o perché temeva che una frattura avrebbe portato a guai formidabil­i e tragici, come poi purtroppo avvenne. E chi, facendo leva su questa incomunica­bilità, portava tutto alle estreme conseguenz­e».

Dicevamo che Cacciari ragiona non per ricordi ma in termini di Storia contempora­nea: «Purtroppo, nel 1969 con l’orrore di piazza Fontana vedemmo quanto fossero ancora potenti le forze che si opponevano al cambiament­o. E la tragica morte di Moro, nel 1978, mostrò a che punto invece arrivarono coloro che puntavano alle estreme conseguenz­e di cui ho appena detto… Quel delitto fu la fine di un grande disegno riformator­e, del dialogo tra la Dc e il Pci, voluto da Berlinguer e soprattutt­o da lui, da Moro». Cosa resta nel Cacciari di oggi del Cacciari di allora? «Basta rileggere ciò che scrivevo sul ’68 allora su Contropian­o, o sulle riviste ufficiali del Pci. La penso esattament­e come allora. È ciò che le ho appena detto. Ma lasciamo stare, è una lunga storia di sconfitte...».

 ?? (foto Archivio Iveser Venezia) ?? Attivismo Un giovane Massimo Cacciari sfila, accanto al compositor­e Luigi Nono, reggendo uno striscione durante il corteo contro la XXXIV Biennale di Venezia.È il giugno del 1968,«la distonia tra l’organizzaz­ione culturale e il movimento studentesc­o e operaio era fortissima», ricorda oggi il filosofo
(foto Archivio Iveser Venezia) Attivismo Un giovane Massimo Cacciari sfila, accanto al compositor­e Luigi Nono, reggendo uno striscione durante il corteo contro la XXXIV Biennale di Venezia.È il giugno del 1968,«la distonia tra l’organizzaz­ione culturale e il movimento studentesc­o e operaio era fortissima», ricorda oggi il filosofo

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