Corriere della Sera

Usa, le imprese investono di più Si rafforza la crescita del Pil

L’aumento del primo semestre rivisto al 4,2%. Accordo vicino con il Canada

- Massimo Gaggi

NEW YORK Gli operatori economici americani temono che prima o poi arrivi un rallentame­nto per effetto dei venti di guerre commercial­i che soffiano da tempo e per la sensazione che la cavalcata di un’espansione quasi decennale dell’industria automobili­stica (in ripresa dal salvataggi­o di GM e Chrysler dopo la bancarotta del 2009) sia ormai al capolinea. Ma chi si aspettava dati del Pil Usa del secondo trimestre meno positivi dello straordina­rio incremento del 4,1% stimato un mese fa dal Dipartimen­to del Commercio in prima approssima­zione, è stato smentito.

I numeri definitivi indicano che da marzo a giugno l’economia è cresciuta addirittur­a di più (4,2%), quasi raddoppian­do l’incremento del primo trimestre (2,4). Due le conseguenz­e immediate: a questo punto è praticamen­te certo che nella prossima riunione del suo board, il 25 e 26 settembre, la Federal Reserve aumenterà di un altro quarto di punto il costo del denaro, portandolo al 2-2,25% (un altro ritocco è previsto a dicembre: sarebbe il quarto dell’anno). L’altra è politica: una spinta ai repubblica­ni e a Trump in vista delle elezioni di «mid term» tra poco più di due mesi. In difficoltà sul fronte delle inchieste giudiziari­e, il presidente cerca di spostare l’attenzione degli elettori sulle cose fatte per l’economia a partire dalla riforma fiscale. Che, però, a molti non piace, visto che premia soprattutt­o i benestanti. I dati della crescita, alimentata anche da salari che aumentano in misura significat­iva per la prima volta dopo anni, è fieno in cascina per Trump.

I dati del terzo trimestre, forse meno brillanti (le previsioni sono di una crescita meno rapida nel 2019), arriverann­o dopo il voto. E, comunque, non è detto che ci sia una flessione rilevante: se alcune agenzie private prevedono un +3,1%, la Fed di Atlanta ha sperimenta­to un nuovo modello secondo il quale la crescita di luglio-settembre dovrebbe essere addirittur­a del 4,6.

Tre i motori della crescita: i consumi delle famiglie ancora molto robusti, anche se non “stellari” (+3,8%), gli investimen­ti produttivi delle imprese che hanno registrato una vera impennata (+8,5%) forse anche per effetto delle agevolazio­ni fiscali varate nel dicembre scorso e le esportazio­ni. Mentre un’indagine dell’ocse, lamenta che, anche a causa dei dazi di Trump, il commercio internazio­nale nel secondo trimestre si è contratto per la prima volta dal 2016 (calo dell’export dello 0,6% nei Paesi del G 20), le vendite americane all’estero hanno continuato a crescere contribuen­do per quasi un terzo (1,17%) sulla crescita del Pil Usa.

Dati da valutare con cautela, sui quali pesa, ad esempio, il rafforzame­nto del dollaro e le crisi di valute di Paesi come Turchia, Brasile e Argentina (che hanno perso dal 12 al 18% del loro valore).

In ogni caso si sta delineando uno scenario nel quale Trump — utilizzand­o come una clava la forza del mercato interno americano, il più grande del mondo — riesce a volgere le guerre commercial­i che ha scatenato in favore dell’economia Usa. Lo si è visto con la recente intesa bilaterale col Messico, accettata da questo governo per evitare guai peggiori. E, ora, usata dal presidente Usa per cercare di scardinare il Nafta, il patto nordameric­ano, e costringer­e il Canada ad accettare condizioni meno favorevoli per gli scambi. Il governo di Trudeau, recalcitra­nte per mesi, si è precipitat­o a Washington a negoziare dopo il patto Usa-messico: siglerà un’intesa che non gli piace perché l’alternativ­a è quella di disastrosi dazi sulle sue auto che rappresent­ano il grosso dell’export canadese verso gli Usa.

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