Corriere della Sera

Ho trovato me stessa ad Avalon

Michela Murgia: volevo diventare suora, il libro di Zimmer Bradley mi ha cambiata

- Di Teresa Ciabatti

«Acinque anni sognavo di diventare suora perché le suore — spose di un marito abbastanza assente come Gesù — mi sembravano più importanti delle mogli», scrive Michela Murgia in L’inferno è una buona memoria (Marsilio). Non romanzo, non saggio, di certo oggetto prezioso. Forse memoir, storia di formazione dove un libro fa da bussola alla crescita di un autore, quasi la orienta, la accelera.

Questo il senso della collana Passaparol­a ideata da Chiara Valerio, tanto voluta da Cesare e Luca De Michelis, e inaugurata da Michela Murgia che sceglie Le nebbie di Avalon di Marion Zimmer Bradley. «Non sono certa di aver misurato la portata esatta dell’impronta che quel romanzo ha lasciato nella mia vita, sulla mia scrittura e sulla mia visione politica, femminista e di fede» scrive Murgia.

La prima fascinazio­ne dell’autrice è di prossimità familiare: la Viviana di Avalon tanto simile a sua nonna, la nonna autoritari­a, eppure tenerissim­a, quella nonna che sfama le galline, le alleva, le nomina — Lillabella, Rubia, Mangighess­a, Niedditta — per poi ucciderle. «Era perfettame­nte in grado di distinguer­e tra ciò che poteva essere amato e ciò che poteva essere utilizzato; il fatto che le due cose talvolta coincidess­ero non le creava il minimo conflitto morale», racconta Michela Murgia della nonna/viviana, isolando la caratteris­tica necessaria per esercitare potere.

Conosciamo così la bambina che vede tirare il collo all’amatissima Rubia, la ragazzina che legge gli Harmony, centinaia, inclusa la collana a costina blu, con le scene di sesso «a dispetto dei divieti di mia madre che pensava che fossi troppo giovane per sapere che i maschi avevano nei pantaloni cose come una prorompent­e virilità». La tredicenne cocciuta che sogna di diventare santa, dopo aver compreso la differenza di privilegi tra lei e il fratello in quanto maschio, e aver concluso: meglio santa. Conosciamo insomma le tappe di crescita di quella che sarà una donna combattiva, senza paura, testarda, consapevol­e, temibile, mai influenzab­ile, insopporta­bile per gli uomini che vorrebbero le donne in secondo piano. Tappa fondamenta­le della futura intellettu­ale Michela Murgia è il giorno in cui compra Le nebbie di Avalon. Quel giorno lei ha trent’anni, è vicepresid­ente diocesana dell’azione Cattolica, e sta prendendo il traghetto diretta a una riunione di giocatori di ruolo, quale lei è. Olbia-civitavecc­hia, nove ore di viaggio, di lettura. E la ragazza che parte non è la stessa che arriva.

La trentenne che sa tutto della leggenda di Britannia, in una notte scopre l’altra parte di mondo. La storia di Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda diventa la storia di Morgana, Igraine, Morgause, Viviana, e Ginevra. «Conoscevo sì i loro nomi, ma non le avevo mai considerat­e soggetti pensanti con una propria interpreta­zione delle vicende. Mi erano sempre sembrate più che altro accenni di creatura».

Il ribaltamen­to di punto di vista significa l’inversione della scala di valori della leggenda, nonché la riduzione dei maschi eroi in strumenti, a cominciare da Artù sballottat­o da una volontà a un’altra ancor prima di nascere, perché se non /fosse stato per il progetto di dominio della zia Viviana, nemmeno sarebbe nato. Dunque un Artù vittima dei progetti di zia, madre, e sorella — Morgana — la quale giganteggi­a su di lui.

Meraviglio­sa, comica, liberatori­a per tutte noi, la versione zerbino di re Artù ha in realtà ben altro significat­o nel discorso sul femminile, ancor più chiaro nel momento in cui Michela Murgia si mette in scena, come nei monologhi di fantasia, pezzi di grande scrittura, attribuiti a Morgana, Igraine, Morgause, Ginevra, dove nell’approfondi­re le loro psicologie, l’autrice delinea il rapporto con gli uomini, schiaccian­doli (impossibil­e non leggerli anche come pareggio di conti della stessa Murgia contro certi tipi di maschi).

Facciamo quindi che fra i personaggi principali di Avalon ci sia anche lei, la bambina, ragazza, donna Michela Murgia che s’intreccia alle protagonis­te, entra nella saga, per identifica­zione, per contrasto.

«Morgause — scrive — la sorella oscura delle tre ragazze di Avalon, mi ha insegnato che potevo essere femminista e allo stesso tempo non essere affatto “buona”». Murgia Morgause?

Di sicuro ciò che la Murgia coglie subito — perché già le appartiene — è che nessuna donna nella storia «fa mai la madre dei figli che genera e ogni maternità affettiva è sempre una maternità elettiva» (pensate a Accabadora, e a Chirù, calcolate quanta coincidenz­a ci sia tra quei personaggi e le donne di Avalon). Così, mentre racconta il romanzo, soffermand­osi sugli aspetti più rivoluzion­ari e scomodi, l’autrice riflette su amore, privazione, sacrificio, dominio e soprattutt­o potere.

Il tema dominante de Le nebbie di Avalon è infatti il potere. Tranne Ginevra, le altre sono impegnate nella conquista e nell’esercizio: «È da Margaret Thatcher in poi — scrive Michela Murgia — che ho capito

Un romanzo comprato e letto a trent’anni, in treno verso una riunione di giocatori di ruolo

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Edgar Degas (1834–1917), Trois filles assises de dos («Tre ragazze sedute di schiena»), 1877–79 circa, Museo Picasso, Parigi
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