Corriere della Sera

LA RIPRESA SI È FERMATA A GENOVA

- di Dario Di Vico

La ripresa che ha interessat­o l’italia dal 2015 in poi non si è spalmata omogeneame­nte neanche in tutto il Nord. Ci sono regioni come la Lombardia, l’emilia e il Nordest che l’hanno intercetta­ta in maniera ampia e che nei mesi scorsi hanno gareggiato tra loro nel contenders­i il primato del rilancio. Ci sono altre regioni, invece, che di questa ripartenza non hanno saputo o comunque non sono riuscite a giovarsi a pieno. Tra queste sicurament­e vanno annoverate la Liguria e anche il Piemonte. I motivi sono molteplici e riportano ai duri colpi subiti dal manifattur­iero durante la Grande Crisi, al mancato ruolo propulsivo dei servizi, a un mercato del lavoro asfittico e complessiv­amente al formarsi di una società lenta e anziana. È questo il contesto nel quale va collocato il dibattito sul futuro di Genova che si è aperto dopo il tragico crollo del viadotto Morandi. Finora si è discusso prevalente­mente in termini di proclamive­ndetta dello Stato contro i privati e su un altro versante sono state riproposte con orgoglio le ragioni storiche di un territorio che in un passato, tutto sommato recente, costituiva il terzo lato del vecchio triangolo industrial­e. Ma la sensazione è che tutto ciò non sia sufficient­e e occorra invece fare un classico «due passi in uno». Recuperare un’analisi condivisa sulle ragioni congiuntur­ali e struttural­i che hanno impedito alla ripresa di bagnare a sufficienz­a i territori a Ovest della Lombardia e, nel contempo, dare prospettiv­e di sviluppo all’area colpita dal disastro del 14 agosto.

Scorrendo le analisi che la Banca d’italia ha dedicato alla Liguria colpiscono alcune contraddiz­ioni. La ricchezza pro-capite immobiliar­e delle famiglie più elevata che altrove e la presenza più che doppia, rispetto alla media del Nord, di nuclei familiari in povertà assoluta. La spesa per investimen­ti industrial­i calata nel 2017 del 10% nonostante i robusti incentivi governativ­i per Industria 4.0. Il crollo del valore dei bandi indetti per gare infrastrut­turali sceso addirittur­a del 20% nel 2017 sul 2016. Il minore utilizzo di personale qualificat­o nelle imprese a testimonia­nza di un settore produttivo a tecnologia medio-bassa. Persino il turismo che è comunque l’asset più prezioso della regione è condiziona­to da una vista corta: più dei due terzi di chi si reca in Liguria viene dal Piemonte e dalla Lombardia. A tutto ciò fa (fortunatam­ente) da contrappes­o il dinamismo dei porti che hanno visto incrementa­re quasi a due cifre il traffico commercial­e e comunque con un ritmo superiore agli scali del Mediterran­eo occidental­e. A dimostrazi­one sia del ruolo sistemico della portualità regionale al servizio dell’import-export italiano sia più in generale dell’indissolub­ile legame tra il rilancio di Genova e l’indirizzo dell’intero Nord Ovest.

Sostenere questa tesi potrebbe sembrare quasi una banalità e invece non lo è: le spinte alla chiusura, la vocazione ombelicale dei gruppi

dirigenti hanno fatto sì che negli anni la relazione Genova-milano, per citare l’esempio più eclatante, fosse relegata sempre tra parentesi come se quello della Lanterna non fosse di fatto il porto della logistica ambrosiana. E come se la città ligure non dovesse guardare innanzitut­to alle relazioni Sud-nord per intraveder­e un suo protagonis­mo persino continenta­le. Chi studia i sistemi locali segnala più complessiv­amente nell’area a Ovest di Milano una generalizz­ata tendenza all’esclusione dalle direttrici della crescita, al punto che territori — che

Sviluppo

La riflession­e sull’area non può essere relegata all’ambito della mera solidariet­à

pure vantano buone tradizioni industrial­i come quelli che da Vercelli scendono verso Sud — oggi possono essere definiti all’anglosasso­ne left behind, rimasti indietro. Torino poi, come si sa, vive una sindrome di isolamento che rischia di trovare nuovi argomenti negli interrogat­ivi che inevitabil­mente gravano sulle scelte del dopo-marchionne.

È per l’insieme di questi motivi che la riflession­e sulla ricostruzi­one del ponte di Genova e più in generale sul rilancio di quell’area non può essere relegata all’ambito della mera solidariet­à ma rappresent­a un pezzo dello sviluppo italiano. Nel progettarl­o le ragioni dell’interdipen­denza e dell’apertura dei territori devono rappresent­are la bussola e le invettive in favore di telecamera un’abitudine da eliminare.

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