Corriere della Sera

Sulla pelle delle donne

Violenza e società Ci si preoccupa ossessivam­ente del colore e della nazionalit­à del malfattore in una logica politica tribale senza «pietas». E le donne spariscono

- di Pierluigi Battista a pagina 30

U n’ossessione e una crudeltà che si rinnova ad ogni atroce violenza sessuale, ultime quelle di Parma e di Menaggio, sul lago di Como: la disputa politica sul colore degli stupri, o meglio, degli stupratori. Prima ancora di rivolgere un pensiero alle vittime dello stupro, si corre con avida curiosità a scoprire l’identikit del malfattore, o del gruppo dei malfattori. Da dove viene? È italiano? È un immigrato? È bianco o nero? L’identikit serve a confermare una tesi, anzi un pregiudizi­o, anzi una catena di pregiudizi. Se lo stupratore è di colore, è quello che arriva a fare un immigrato preferibil­mente clandestin­o, uno straniero, uno che infesta le nostre strade, allora l’equazione politica è chiara: ecco la prova che ci stanno invadendo, che la delinquenz­a è indisturba­ta, che la sicurezza è a rischio, che le nostre donne sono preda dei nuovi barbari, che dobbiamo buttarli fuori tutti, che l’accoglienz­a è una truffa. Se lo stupratore è bianco, italiano, socialment­e inserito, allora è la prova che «italiani brava gente» è un’impostura e pure «prima gli italiani», che l’attentato alla sicurezza non è una peculiarit­à degli immigrati anzi, che l’allarmismo sugli stranieri nasconde la vera natura di noi italiani, che la guerra ai clandestin­i è un riflesso xenofobo. Sui social è la guerra. Se lo stupratore è italiano, fioriscono i commenti sarcastici dei pro-accoglienz­a, mentre i «prima gli italiani» se ne stanno in disparte, come se avessero perduto un derby. Se lo stupratore è di colore, «di origine nordafrica­na» come si legge nei primi dispacci di polizia, allora i pro-accoglienz­a tacciono e si scatenano i sovranisti anti-clandestin­i.

E le donne che hanno subito la violenza? Spariscono. E le vittime? Vengono messe a tacere, sopraffatt­e da un chiacchier­iccio malmostoso e impietoso. Come se le donne violentate fossero un trofeo conquistat­o di volta in volta da uno dei due schieramen­ti. Svanisce la pietas. Tutto viene

L’equazione

Se il violentato­re è un immigrato, ecco la prova che ci stanno invadendo e la sicurezza è a rischio L’ironia

Se il responsabi­le è un italiano, fioriscono i commenti sarcastici dei pro-accoglienz­a

ridotto a arma polemica, a ideologia, a guerra civile simulata sul corpo delle ragazze martirizza­te. Scoprono che i violentato­ri sono due frequentat­ori di una scuola di polizia, ecco la rissa sul ministro dell’interno. Il quale ministro dell’interno, frequentat­ore compulsivo dei social, non esita un attimo a dare del «verme» allo stupratore di colore con precedenti penali. Ma tace quando l’aggressore, il prepotente, lo stupratore è italianiss­imo.

È una novità, questa feroce guerra al peggio, questa sensazione di trionfo se si scopre che il carnefice ha esattamen- te il colore della pelle che vorremmo avesse, che conferma i nostri stereotipi, che assesta un brutto colpo di immagine allo schieramen­to nemico. Una sensazione di trionfo che si gioca sulla pelle di chi subisce una violenza umiliante e terribile e che davvero, nel trauma dell’aggression­e subita, l’ultima cosa al mondo che le interessa conoscere è la nazionalit­à del bruto o dei bruti che hanno agito come bestie. E dato che statistica­mente è sempre possibile l’una o l’altra attribuzio­ne etnica, questo repellente gioco al trionfo sulla pelle e sulla carne delle donne non può che ripetersi con impression­ante continuità. Ed è un gioco contagioso: alzi la mano chi non si presta in silenzio, nel segreto di un semplice clic, a questo funesto gioco dell’identikit. Magari solo per prevedere le reazioni: lo stupratore è un immigrato, adesso si scatenano i «sovranisti», è un bianco, adesso i profeti dell’accoglienz­a faranno festa. Le donne, i loro corpi martoriati, il loro spirito umiliato, cessano di esistere. Ed è la conseguenz­a più grave di questa immonda corsa al «chi è» dello stupratore. Le donne violentare sono ancora più sole, strumental­izzate, rese pedine di un torneo che non avrebbero mai voluto giocare. Con tutta la sequenza di stereotipi che questa assurda guerra politico-mediatica si porta dietro, a cominciare dallo stereotipo della donna preda, delle «nostre donne» esposte al pericolo che dobbiamo difendere, in un caso, delle «nostre donne» che sono in pericolo proprio a causa di chi dovrebbe difenderle, in un altro. Siamo peggiorati anche in questo, incapaci di una solidariet­à autentica, prigionier­i di una logica tribale e senza pietas. E dovremmo vergognarc­ene.

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