Corriere della Sera

Il pandoro di Avellino

- di Massimo Gramellini

Dovendo illustrare ai consiglier­i il suo programma per Avellino, il sindaco cinquestel­le Vincenzo Ciampi ha trovato più agevole copia-incollare quello del sindaco di Verona. Ma Verona dista 737 chilometri da Avellino e ha tutt’altri problemi, senza contare che lì il sindaco è di centrodest­ra e i cinquestel­le stanno all’opposizion­e, obietteran­no gli amici di Macron e Fiorella Mannoia. Ridicoli. Come se, con tutto quel che c’è da twittare al giorno d’oggi, un politico avesse tempo da perdere per pensare. Vorrei rassicurar­e i pedanti che, se il sindaco di Verona avesse annunciato la concession­e del balcone di Giulietta ai Benetton o promesso il pandoro di cittadinan­za agli inappetent­i e una flat tax sull’amarone, certamente nel suo omologo avellinese sarebbe sorto qualche scrupolo copiativo. (Per quanto una volta Berlusconi riuscì ad arringare i torinesi sull’annosa questione del porto, prima di accorgersi che era il testo del comizio di Genova).

Invece il discorso veronese si prestava all’emulazione fin dal formidabil­e incipit: «La situazione è particolar­mente delicata e necessita di una seria riflession­e». Una frase che può stare egregiamen­te sulla bocca di un veneto come di un irpino, di un dirigente d’azienda come di un marito cornuto. E solo uno zotico non vorrebbe per la sua città «un cambio di passo» che la trasformi in «crocevia di cultura e sviluppo». In attesa del partito unico, si proceda con il discorso unico. Se uno vale uno, tanto vale copiare l’uno che c’è già.

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