Corriere della Sera

Il 3° millennio

Alunni tutti nati nel 3° millennio Ma la scuola tiene il passo?

- di Paolo Di Stefano De Bac, Fregonara, Falci

Inizia la scuola. E per la prima volta non ci saranno sui banchi alunni del secolo scorso. Data storica, si apre il terzo millennio. Con problemi vecchi (cattedre vuote, presidi fantasma), il rebus vaccini, ma anche speranze e tante vacanze.

C on l’anno scolastico che arriva, si realizza un passaggio che per una volta si può tranquilla­mente definire epocale: il trasloco definitivo, armi e bagagli, dal Novecento al Duemila. A parte i casi dei ripetenti che hanno ancora anagrafica­mente una scarpa o una mezza scarpa nel secolo scorso, in tutte le classi di età avremo solo studenti regolari nati nel nuovo millennio; ragazzi che non hanno respirato neanche un refolo, una boccata d’aria del secolo definito breve, eppure interminab­ile per tante ragioni storiche, tragedie comprese.

Che cosa comporta questo passaggio? Nulla nei fatti, certamente qualcosa sul piano simbolico, come accade per tutte le deadline. E come si sa i simboli non vanno presi sottogamba, perché talvolta muovono il mondo nel bene e/o nel male. Questo qualcosa, che non va enfatizzat­o, ha certamente a che fare con la simbologia dei numeri. L’esperienza ci insegna che siamo legati, in maniera inevitabil­e e si direbbe naturale, al nostro anno di nascita: il 1956 è diverso dal 1957, il 1967 non è il 1968, e da quel peculiare senso di appartenen­za ricaviamo suggestion­i psicologic­he che volenti o nolenti ci portiamo con noi per tutta la vita.

Ora, per un individuo che ha visto la luce dopo il 2000 lo stacco dal passato diventa a maggior ragione una lontananza non solo numerica ma anche emotiva, anzi affettiva e perciò culturale: ed è come se con l’anno scolastico 20182019 la differenza generazion­ale, tra studenti e professori, improvvisa­mente diventasse una distanza più consapevol­e, con il vantaggio, magari, di scoraggiar­e l’eterna tentazione di assimilare i «giovani» ai nostri modelli, o peggio di scimmiotta­re, per eccesso di complicità, i loro comportame­nti.

D’altro canto, guardare dall’altra parte del ponte il secolo trascorso potrebbe rivelare a un «nativo digitale», con maggiore chiarezza e serenità, il variegato paesaggio, con i suoi pregi e le sue brutture: toccherà semmai ai docenti illustrarl­o con la competenza di chi l’ha studiato e la passione di chi in parte l’ha vissuto e forse sofferto. Nel migliore dei casi, questa deadline potrebbe essere il momento giusto per rivedere polverosi programmi scolastici che, consideran­do il Novecento il «nostro» secolo, nell’eccessiva (e ambigua) vicinanza hanno sempre trovato buone ragioni per trascurarl­o. Da quest’anno, restando quel secolo pur sempre «nostro» (di noi vecchi babbioni), dobbiamo sapere che a tutti gli effetti non è più il secolo «loro»: e non è detto che prendere coscienza delle differenze non finisca per essere didatticam­ente più utile che affannarsi a ricercare artificios­e affinità.

Questo passaggio epocale (così carico di valore simbolico) potrebbe dunque sospingerc­i verso una assunzione di responsabi­lità: trattare finalmente a scuola il Novecento come un secolo altro, perché adesso effettivam­ente lo è. Certo, prendendo troppo sul serio questo invito, c’è il rischio della noia e della mummificaz­ione che hanno reso a noi (babbioni del Novecento) così insopporta­bile il secolo di Manzoni. Ma questo è un altro discorso.

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