Corriere della Sera

Telefono muto tra Italia e Ue E ora il deficit fa temere per il giudizio di Moody’s

Stasera il verdetto dell’agenzia di rating Fitch

- di Federico Fubini

Piange il telefono fra Roma e Bruxelles, piange e tace. Mancano meno di venti giorni lavorativi al momento in cui il governo dovrebbe pubblicare i suoi obiettivi di finanza pubblica e come raggiunger­li: la cosiddetta Nota di aggiorname­nto al Documento di economia e finanza, da approvare in parlamento entro il 27 settembre. Quel testo deve contenere gli impegni sul deficit e il debito pubblico che l’italia si dà per l’anno prossimo e la struttura della Legge di stabilità.

Poiché è chiaro da mesi che il cammino verso il pareggio di bilancio sarà frenato — oppure invertito — il governo ha fatto sapere che ne avrebbe parlato con la Commission­e Ue. Si tratta di trovare, fra Roma e Bruxelles, una strada perché si salvi almeno l’apparenza delle regole europee o una minima dose di queste. Sotto pressione sui mercati, sotto sorveglian­za dalle agenzie di rating, il governo sa che ha interesse impostare la manovra provando a evitare una rottura con la Commission­e Ue e dunque una procedura sui conti.

Per questo i contatti dovrebbero avvenire in questi giorni, ma non è così. Tutto tace. L’ultima volta che il ministro dell’economia Giovanni Tria si è seduto per parlarne con Pierre Moscovici, il commissari­o agli Affari monetari, era inizio luglio. Colloqui preliminar­i. Ma dopo la pausa estiva sono corse ben poche telefonate fra il Tesoro di via Venti Settembre a Roma e i palazzi di Rue de la Loi, a Bruxelles, che ospitano la direzione generale Economia e finanza e i vertici della Commission­e Ue.

A Bruxelles ormai si è capito perché tanto silenzio: dai piani più alti del Tesoro di Roma nessuno telefona, perché nessuno saprebbe cosa dire. Tutto avviene come se le strutture dell’amministra­zione non avessero vere indicazion­i di lavoro dal cuore politico del governo, i leader 5 Stelle e Lega: né sugli obiettivi di deficit, né di debito o sulla vera struttura del bilancio. Gli annunci dei leader su Facebook sono stati più frequenti delle riunioni a porte chiuse per fissare dei punti fermi della legge più importante dell’anno.

L’interesse del governo, e i tentativi di Tria, vanno in realtà in senso opposto: accorciare al massimo i tempi della Nota, perché oggi l’incertezza mette in fuga gli investitor­i, alza i rendimenti del debito pubblico e ne aumenta il costo per i contribuen­ti. Daniel Gros del Ceps di Bruxelles mostra del resto che i titoli di Stato italiani emessi in dollari stanno soffrendo meno di quelli in euro: segno che gli investitor­i temono che il governo decida un’uscita dall’euro, che colpirebbe solo i titoli in euro. Gross stima che almeno lo 0,80% nell’aumento dello spread sui titoli italiani, al costo per il contribuen­te di tre miliardi in più ogni anno, è dovuto al timore di Italexit (altrettant­o ai timori sulla tenuta dei conti).

Rare volte negli ultimi mesi il costo di tutta questa incertezza è stato chiaro come ieri. Alle tre del pomeriggio, poi di nuovo venti minuti dopo le sei, improvvisa­mente sono crollati i prezzi dei titoli di Stato italiani a scadenza nel 2020. I rendimenti dei Btp a due anni — che si muovono in senso opposto ai prezzi — hanno sfondato la soglia dell’1,4% che non vedevano dai primissimi giorni di governo. Il rendimento dei Btp a dieci anni ha superato il 3,2%, ai massimi dal 2014.

Soprattutt­o i titoli di Stato a due anni sono un punto nevralgico e una cartina tornasole degli eventi. Quando gli investitor­i decidono di lanciare una scommessa al ribasso sull’italia, spesso prendono in prestito e vendono sul mercato proprio quelli (per ricomprarl­i con meno denaro dopo e poi restituirl­i). È lì che si può infliggere il massimo stress sulla struttura del debito, perché il crollo dei prezzi sui titoli biennali segnala al mercato un rischio di crisi vicina. Ieri probabilme­nte le scommesse ribassiste sono venute dagli Stati Uniti e ormai ne bastano di relativame­nte piccole per muovere il mercato: data l’incertezza che i leader di governo alimentano su Twitter e Facebook ogni giorno, gli investitor­i si tengono lontani e la liquidità sul debito italiano diventa molto sottile.

L’incertezza è legata a due fattori legati fra loro, dei quali la Nota al Def è solo il più vistoso. L’altro è l’arrivo delle prime risposte delle agenzie di rating, che danno una valutazion­e sulla solidità del debito. Questa sera dopo le 22, a mercati americani chiusi, è attesa quella di Fitch. Una sua squadra era stata a Roma in luglio, non aveva ricevuto impression­i rassicuran­ti dai contatti con il mondo politico e soprattutt­o aveva cercato chiarezza su ciò che ancora è incerto: gli obiettivi di deficit.

Lo stesso avevano cercato di capire i tecnici Moody’s il mese scorso, senza successo. Moody’s avrebbe dovuto pronunciar­si il 7 settembre, quindi ha deciso di rinviare a quando la Legge di stabilità sarà pubblica. Ma secondo quanto percepito in ambienti di governo, il dilemma in seno a Moody’s non riguardava il punto di declassare o no l’italia. Era se declassarl­a di uno o due gradi. Nel secondo caso, il debito del Paese per la prima volta avrebbe avuto un rating che gli addetti definiscon­o «spazzatura».

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