Reclusi lì sotto anche Pietro e Paolo
Coinvolto dal crollo della Chiesa di San Giuseppe dei Falegnami si è temuto avesse subito danni anche il sottostante antico carcere Mamertinum (detto anche Tullianum). E anche se pare che questo non sia accaduto, la notizia di un disastro in una zona come il Campidoglio accresce ulteriormente lo sconforto e la preoccupazione che colgono alla continua rivelazione dello stato nel quale versa il nostro patrimonio architettonico, storico e e artistico. Ma veniamo, ciò premesso, al carcere in questione, che nell’antichità non era un luogo nel quale si scontava una pena detentiva (allora insistente). Era un luogo nel quale si attendeva che venisse pronunziata una sentenza che, se di condanna, avrebbe previsto la morte o una pena corporale (abitualmente così dura da portare comunque alla morte). A darci un’idea di quali fossero le condizioni di vita dei detenuti (a volte per periodi lunghissimi) soccorre un passo di Sallustio, che descrive il Tullianum (nel quale, tra i tanti, in attesa del martirio, furono rinchiusi anche gli apostoli Pietro e Paolo) come un luogo «cui la sporcizia, l’oscurità e il fetore conferivano un aspetto terrificante» (Cat., 55,4). Ieri come oggi, in modo diverso, le carceri sono luoghi dei quali si vorrebbe, veramente, non dover mai più sentir parlare.
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