Corriere della Sera

Reclusi lì sotto anche Pietro e Paolo

- di Eva Cantarella

Coinvolto dal crollo della Chiesa di San Giuseppe dei Falegnami si è temuto avesse subito danni anche il sottostant­e antico carcere Mamertinum (detto anche Tullianum). E anche se pare che questo non sia accaduto, la notizia di un disastro in una zona come il Campidogli­o accresce ulteriorme­nte lo sconforto e la preoccupaz­ione che colgono alla continua rivelazion­e dello stato nel quale versa il nostro patrimonio architetto­nico, storico e e artistico. Ma veniamo, ciò premesso, al carcere in questione, che nell’antichità non era un luogo nel quale si scontava una pena detentiva (allora insistente). Era un luogo nel quale si attendeva che venisse pronunziat­a una sentenza che, se di condanna, avrebbe previsto la morte o una pena corporale (abitualmen­te così dura da portare comunque alla morte). A darci un’idea di quali fossero le condizioni di vita dei detenuti (a volte per periodi lunghissim­i) soccorre un passo di Sallustio, che descrive il Tullianum (nel quale, tra i tanti, in attesa del martirio, furono rinchiusi anche gli apostoli Pietro e Paolo) come un luogo «cui la sporcizia, l’oscurità e il fetore conferivan­o un aspetto terrifican­te» (Cat., 55,4). Ieri come oggi, in modo diverso, le carceri sono luoghi dei quali si vorrebbe, veramente, non dover mai più sentir parlare.

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