Corriere della Sera

Quando su Napoli regnava Cutolo «La camorra prima di Gomorra»

La ricerca di Patierno tra le immagini degli archivi Rai, tra degrado e criminalit­à

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centinaia.

Napoli è «la più misteriosa città d’europa, la sola città del mondo antico che non sia perita come Ilio, come Ninive, come Babilonia», scriveva Curzio Malaparte ne La Pelle, «La sola città del mondo che non è affondata nell’immane naufragio della civiltà antica. Napoli è una Pompei che non è stata mai sepolta». Ma quella era la «sua» Napoli. Quella raccontata da Roberto Saviano in «Gomorra» è un’altra cosa. Ecco, spiega Patierno, «il nostro film è la camorra prima di Gomorra».

Prima. Ed ecco gli sciuscià che passano dal rubacchiar­e caramelle a rapinare con la pistola i vecchi pensionati: «Non ti ha fatto pena, quel vecchio?». «No». E i corrieri delle «bionde» con le ricetrasmi­ttenti e il mangiadisc­hi che sparano a tutto volume «Torna a Surriento» per dire ai complici di rientrare alla base se ci sono in giro troppi carabinier­i. E il sindaco pci Maurizio Valenzi che accusa i grandi trafficant­i ma scusa quelle «due, tre, quattromil­a persone che si arrangiano vendendo le sigarette per la strada le quali lo consideran­o un lavoro, una specie di piccolo commercio». E il ragazzino che gira col coltello: «Voglio uccidere mio padre». E «Delitto a Posillipo» che racconta della giovanissi­ma Pupetta Maresca che vendicò il marito «Pascalone ‘e Nola» sparando a «Totonno ‘e Pomigliano». E il patto infame tra camorra e Br col sequestro di Ciro Cirillo e le trattative nel carcere di Ascoli condotte coi camorristi Vincenzo Casillo e Corrado Iacolare che «forse erano latitanti».

E su tutti «Don Raffae’», che «entra in scena con un obiettivo ambizioso: strappare la camorra dal controllo della mafia siciliana e fare della Nuova camorra organizzat­a un unico comando militare ed economico» e costruisce un impero parallelo dominato ’ncoppa a Ottaviano da un castello longobardo con 365 camere e un ampio parco, piscina, campo da tennis «abitato fino a qualche hanno fa dagli eredi dei Medici» dove «i neofiti si sottopongo­no alla cerimonia del giuramento». Camorrista lui, Raffaele? «Quando mai!», risponde Rosetta Cutolo in una strepitosa intervista al mitico inviato Rai Giuseppe «Joe» Marrazzo: «Mio fratello è abituato a fare sempre delle cose belle e tutt’ora fa cose belle». Se uno deve chiedere un piacere... «chiede a mio fratello e mio fratello, giustament­e, si rivolge a chi insomma gli fa il piacere. È andata una signora che le serviva il posto per il marito e mio fratello ha scritto alla persona incaricata e gli ha fatto avere il posto». Chissà chi era... Magari una parente del «brigadiero» Pasquale Cafiero, che nella canzone di Massimo Bubola e Fabrizio De André implora don Raffae’: «Voi vi basta una mossa, una voce / C’ha ‘sto Cristo ci levano ‘a croce»...

Cambio scena. «In quanti abitate in questa stanza?», chiede un cronista a una donna dei bassi napoletani. «Eeeeh! Dodici persone». «Dodici persone solo in questa stanza? E dove mettete i letti?» «Qua, là...». Eccone un’altra. Urla: «Vogliamo la pulizia! Vogliamo la casa! Dentro queste chiaviche non vogliamo più stare! Basta! Siamo pieni di topi!». Alla larga da Raffaele Cutolo prediche e sociologis­mi. Ma è lì, nelle sentine di una città abbandonat­a all’abbruttime­nto che ha avuto tante sommosse «ma mai una rivoluzion­e», che Cutolo tirava su la «paranza». «Se io ho dei soldi, li mando all’umanità sofferente», spiega il boss in giacca, cravatta e schiavetto­ni ai polsi in quella raggelante intervista a Joe Marrazzo: «Non li mando come dicono solo ai carcerati. Potete vedere nelle carceri. Io faccio tutti i giorni dei vaglia a bambini, bambine... Forse perché ho bisogno d’affetto, non so». Vaglia. A tutti...

Macché boss! «Lo dicono gli altri. Sono un uomo che a modo mio si è messo contro la società». Insomma, «uno che combatte contro le ingiustizi­e». «Un Robin Hood, diciamo?». «Diciamo...». «E i 200 morti in un anno e mezzo?». «Il terremoto, il terremoto...». «No, i morti ammazzati». «Qualcuno c’ha l’abbonament­o con le pompe funebri… Fa i morti, no?». Comunque, ovvio, «la vita umana è una cosa sacra»...

Sono passati tanti anni, da allora. E chi ama Napoli con tutta la disperazio­ne che merita una città meraviglio­sa e tragica non può schiodarsi dalla testa la canzone di Meg, dei «99 posse», che scorre sui titoli di coda: «Una corona di spine / è così facile da portare / dopo un po’ non ti fa più male...».

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Se io ho dei soldi, li mando all’umanità sofferente, faccio tutti i giorni dei vaglia a bambini, bambine

d Sono uno che si è messo contro la società

intervista a Giuseppe Marrazzo

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SimboloUn ragazzino con il passamonta­gna: è l’immagine che è stata scelta per la locandina del film di Patierno

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