Corriere della Sera

Mi chiedo cosa volevi dire con quell’«aspettami»

- Simone

Ti ho incontrata la prima volta la notte del 10 marzo in una discoteca romana. Tu eri lì bellissima, vivace, sicura di te e con modi semplici ma eleganti. Ripenso a quando gli amici mi dicevano: una donna come la vuoi tu non esiste, ma io non ci credevo. Sapevo che da qualche parte la mia ragazza ideale sarebbe dovuta pur esistere, e tu eri lì a un passo da me che mi guardavi. Ti sei avvicinata e mi hai sussurrato qualcosa all’ orecchio. La musica era alta; tu parlavi male l’italiano e io non capivo. Mi hai ripetuto le stesse parola per 3 o 4 volte, ma io non comprendev­o e allora sei tornata a ballare. A me sembravi sempre più bella e quando entrambi ci siamo seduti, eravamo a un metro di distanza. Ti chiesi di farci una foto e tu rispondest­i sì, e così seppi che era un mese che stavi qui a Roma e contavi di restare. Poi si è fatto giorno, hanno tolto la musica e all’uscita mi hai detto: aspettami. Ma quella mattina io dovevo andare subito via.

La seconda volta che ti ho visto e stata sempre nello stesso locale. Ti ho osservato tutta la sera e ho visto che stavi con un ragazzo. Non sapevo se eri fidanzata o no e non te l’ho domandato. Questo è il mio grande rimpianto e ora continuo a chiedermi che voleva dire quell’aspettami. Spero solo di rivederti al più presto e che tu possa leggere questa lettera se non dovessimo più vederci.

Ogni venerdì pubblicher­emo in questa pagina una lettera o una storia d’amore

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